Il 3 dicembre scorso, Guido ha compiuto 85 anni. Lo hanno ricordato il sito Tracce di Jazz su Facebook, il sito a suo nome e la figlia Daniela, affermata pianista classica, sempre su Facebook. Oggi vorrei proporre alcuni estratti a mio parere pregnanti da vecchie interviste e da una particolare recensione, sia al pianista di Chiavenna ma anche al suo sodale, il contrabbassista Red Mitchell.
– È d’accordo con chi individua una peculiarità nel jazz suonato in Italia?
Ci sono validi rappresentanti del cosiddetto jazz italiano. Dire però che l’Italia rappresenti qualcosa di significativo nel jazz lo ritengo un po’ eccessivo. Per me c’è poco da fare: il jazz statunitense è sempre in prima linea. Così come per noi il cibo fa parte della nostra storia, lo stesso è il jazz per gli statunitensi: ce l’hanno nel dna. L’espressione jazz made in Italy mi fa sorridere. Sa qual è stato il più grande complimento che ho ricevuto? Nel 1966 Booker Ervin, durante una jam session al festival jazz di Sanremo, disse al batterista che avevo un modo di suonare simile a quello degli americani.
(Intervista di Nicola Gaeta, Musica Jazz, ottobre 2012)
Mi domando quanti musicisti italiani sarebbero in grado di una simile prodezza: di registrare cioè senza alcuna traccia armonica precostituita, senza avere in testa neppure l’ombra di un progetto melodico, un intero long playing completamente improvvisato, realizzato d’un fiato, senza alcuna interruzione, in una casa privata, come è stato realizzato questo. Mi rispondo subito: nessuno, oltre a Manusardi.
(Arrigo Polillo. Recensione di Delirium, Musica Jazz, marzo 1977)
– Fra gli Europei, chi ti ha impressionato di più?
Guido. Guido Manusardi, intendo. E non perché suono con lui da tempo e mi ci trovo benissimo, ma perché mi ha colpito profondamente sin dalla prima volta in cui, per caso, abbiamo suonato insieme. Fra me e lui c’è una stranissima affinità, una comprensione perfetta e istintiva che non ho mai provato con nessuno.
Forse voi non avete capito veramente l’importanza di Guido, ma dovete rendervi conto che ha dei grandissimi meriti, che deve avere il riconoscimento che da voi gli è mancato.
(Intervista a Red Mitchell di Gian Carlo Roncaglia, Musica Jazz, marzo 1975)
Ecco, queste parole di Red Mitchell dettate 45 anni fa sono state purtroppo profetiche. Ancora oggi Manusardi è un pianista sottostimato, poco conosciuto e poco invitato a festival e rassegne. Eppure, a giudizio di molti, noi compresi, avrebbe molte più cose da dire della maggior parte dei pianisti jazz italiani che vanno per la maggiore.
Arrigo Polillo, indimenticato direttore di Musica Jazz, mezzo secolo fa rispondendo ad un lettore diceva senza mezzi termini, come da sua consuetudine, che i tre migliori pianisti in Italia erano Franco D’Andrea, Enrico Pieranunzi e Guido Manusardi. Probabilmente il giudizio di Polillo è valido tutt’oggi, a dispetto dell’età che avanza e del marketing mediatico che esalta figure alla moda la cui validità è perlomeno da verificare nel tempo. Ad ogni modo, auguri Guido e grazie della tua amicizia!
Roberto Dell’Ava