“Signor Loi, di poesie non ne scrivo e non me ne intendo”.
Così, nel dicembre del 2005, mi sono presentato a Franco Loi, il grande poeta che proprio oggi avrebbe compiuto 91 anni.
Era, ed è vero. E di conseguenza questo mio articolo non tratterà di critica letteraria ma dell’uomo che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui ho avuto il privilegio di scrivere la biografia.
Quella sera lui era intervenuto, come ospite, alla presentazione di un testo sul calcio che avevo scritto insieme ai giornalisti Alberto Figliolia e Davide Grassi. Ci trovavamo alla Mondadori di via Marghera e oltre a lui c’erano Gianni Mura (che adorava la sua poesia e lo guardava addirittura con soggezione), Sandro Mazzola e Giovanni Lodetti. Un bel “parterre de roi”.
Io non lo avevo mai incontrato ma alla fine dell’incontro, mentre si era già avviato verso l’uscita, gli sono letteralmente corso dietro per chiedergli se potevamo vederci: avevo scritto un libro su Milano e desideravo la sua prefazione. Una bella faccia di tolla, a ripensarci.
Lui, dopo avermi fissato un momento, mi ha sorriso e mi ha dato il numero di telefono. Come se niente fosse. E questo ben sintetizza chi era Franco Loi. Una persona d’altri tempi. Mi verrebbe da dire: un uomo del Novecento. Persona del popolo (quando il “popolo” esisteva ancora, con i suoi riti e i suoi valori) era nato, e persona del popolo restava, senza che la fama avesse minimamente intaccato la sua genuinità, la sua innata disponibilità verso gli altri. Amava guardare le persone negli occhi, toccarle. Spesso, mentre gli stavi parlando, ti appoggiava un braccio sulla spalla. Era il suo modo per dirti che ti era vicino, che ti capiva. Lui era la sua poesia, fatta di compassione, di empatia, di “un sentire comune”.
Inutile dire che un mese dopo potevo vantare le sue parole, rigorosamente scritte a macchina perché il computer non lo ha mai utilizzato, come introduzione a CentoMilano. E sottolineo vantare, perché un libro su Milano con il suo nome come prefattore assumeva tutto un altro valore. Quando l’ho comunicato alla casa editrice non ci volevano credere.
Altrettanto inutile aggiungere che non mi ha chiesto assolutamente nulla, come compenso. Anzi, quando gli ho regalato un libro fotografico sulla Milano bombardata per ringraziarlo, non si è mostrato affatto contento. Mi ha domandato un po’ bruscamente il motivo di quel dono, ha sfogliato il testo per pura educazione e infine lo ha appoggiato sulla pila degli altri che teneva sempre sul tavolo del salotto. Perché la sua era una cortesia vera, schietta, da pari a pari, che escludeva l’autocompiacimento: non amava affatto essere “lisciato” o elogiato. E se rispettavi queste regole, diventare suo amico era facile, quasi naturale.
In seguito, abbiamo partecipato insieme a degli incontri sulla poesia milanese organizzati dal Comune di Milano. E io ho passato pomeriggi interi a casa sua, in via Misurata, a sentirlo parlare della sua infanzia (di cui si ricordava particolari incredibili), della guerra (un altro dei suoi argomenti preferiti) e della città. È stato al termine di uno di questi che gli ho chiesto se avesse mai pensato di scrivere un’autobiografia. Aveva attraversato quasi ottant’anni di storia italiana e milanese, aveva conosciuto scrittori e personaggi famosi (da don Milani a Renato Curcio, per citare solo i primi due che mi vengono in mente), era perfino andato in carcere per un’accusa infondata di avere appartenuto alle Brigate Rosse. Mi ha risposto che una giornalista si era offerta ma poi era sparita. Quindi, mi ha guardato e mi ha detto che gli sarebbe piaciuto che fossi io, a farla.
Da bambino il cielo è nato così: dalle sue risposte alle mie domande, dai suoi racconti. Anche se io ho consegnato a Franco una versione di centocinquanta pagine che, quando me l’ha restituita, era diventata di trecento. Perché, giustamente, lui ha voluto aggiungere tutti i particolari che desiderava. Ed erano tanto, poiché l’aveva vissuta intensamente, la sua vita.
Abbiamo presentato il libro al Teatro Franco Parenti, in occasione della vigilia del suo 80esimo compleanno. Era il 20 gennaio 2010. Da quel giorno sono passati undici anni. Sembra ieri.
Mauro Raimondi