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La canzone che unì i soldati di eserciti nemici 
di Luciano Luciani
16 Gennaio 2021
 

La ragazza sotto il lampione

 

Il secondo conflitto mondiale durava ormai da quasi due anni e l’Europa si presentava come un unico, sanguinoso campo di battaglia. Lo scontro non risparmiava niente e nessuno: obbiettivi e popolazioni civili erano, anzi, diventati i bersagli privilegiati delle operazioni militari di un conflitto che non conosceva ostacoli combattuto sulla terra, nel cielo, sopra e sotto il mare… Che il 14 agosto di quell’anno terribile Churchill e Roosevelt si siano incontrati nell’isola di Terranova per elaborare ed enunciare i principi della ‘Carta Atlantica’ forse lo ricordano in pochi. Tutti, però, conoscono le note, severe e struggenti insieme, che vennero irradiate da Radio Belgrado alle 21:56 del 18 agosto: “Lilì Marlen”, un motivo che nel giro di poche settimane avrebbe oltrepassato ogni frontiera geografica e ideologica e ogni barriera linguistica, trasformandosi nell’inno non ufficiale dei soldati di entrambe gli schieramenti che lo cantarono, sempre e da per tutto, dal fronte russo all’Atlantico, dai Balcani al Baltico, con commozione e partecipazione.

Quale il tema di questa canzone che riuscì nel difficilissimo compito di affratellare uomini in divisa ‘l’un contro l’altro armati’? L’amore: o meglio l’amore, la guerra e il senso di perdita connesso a tutte le vicende belliche. Una canzone le cui parole provenivano dal precedente conflitto mondiale, dalla Grande Guerra. Le aveva scritte nel 1915 Hans Leip (Amburgo, 1893 – Fruthwilen, 1983), un giovane soldato tedesco poco prima di partire per il fronte russo e facevano parte di un testo poetico intitolato La canzone di una giovane sentinella: Lilì era il nome della fidanzata dell’autore e Marlen quello di una giovane infermiera che, prima di sparire per sempre, aveva regalato un gesto affettuoso al giovane Leip impegnato nei suoi doveri di guardia di fronte alla caserma dov’era acquartierato.

 

A Goebbels non piace, a Rommel sì

 

La canzone di una giovane sentinella era stata pubblicata più di vent’anni più tardi, nel 1937 all’interno di una raccolta più ampia ed era piaciuta a Norbert Schultze (Braunschweig, 1911 – Monaco, 2002), un musicista di successo ligio al regime nazista, autore di motivi popolari e di colonne sonore per il cinema. Nel 1938 Schultze musicò i versi di Leip e nacque “Lilì Marlen”, che però dovette scontare l’ostilità di Joseph Goebbels, l’onnipotente ministro hitleriano della propaganda e dell’informazione a cui non piaceva il tono dolente e la tristezza che caratterizzavano quelle parole e quella musica: ben altri, a suo parere, sarebbero dovuti essere i motivi per accompagnare la marcia inarrestabile dei soldati tedeschi. “Lilì Marlen” fu comunque registrata per la voce della cantante Lale Andersen, nome d’arte di Eulalia Bunnenberg (Lehe/Bremerhaven, 1905 – Vienna, 1972), a sua volta poco convinta di quell’operazione… Tant’è che il disco, inizialmente, si rivelò il classico buco nell’acqua e vendette solo 700 copie, finendo sugli scaffali della Radio Tedesca per le Forze Armate.

Relegata a una diffusione periferica tra le truppe dell’Afrika Korps, il corpo di spedizione tedesco che dal febbraio 1941 alla primavera 1943 operava in appoggio alle truppe italiane, la canzone attrasse l’attenzione di Erwin Rommel, il brillante ufficiale al comando delle forze dell’Asse. Questi, tra un’offensiva e una ritirata tra le sabbie dei deserti della Libia e dell’Egitto, trovò anche il tempo per segnalare le sue preferenze musicali al tenente Karl-Heinz Reintgen, responsabile delle trasmissioni di Radio Belgrado nella Iugoslavia ormai occupata dai tedeschi, che, non potendo rifiutare un favore alla già celebre ‘volpe del deserto’, inserì “Lilì Marlen” nella propria programmazione come sigla di chiusura delle trasmissioni.

Fu da subito un successo straordinario. In tutta Europa, in tutto il mondo in guerra da un fronte all’altro rimbalzarono le note di “Lilì Marlen” e tutti gli uomini in divisa si sentirono accomunati dalla patetica histoire du soldat che “tutte le sere/ sotto quel fanal,/ presso la caserma/” attendeva la sua bionda innamorata insieme alla quale dimenticare il mondo; e col mondo la guerra e i suoi orrori… Oddio, magari quest’ultimo concetto nel testo non c’era, ma derivava come diretta conseguenza da versi semplici al limite della banalità che favorirono la larghissima diffusione della canzonetta:

Tutte le sere sotto quel fanal
presso la caserma ti stavo ad aspettar.
Anche stasera aspetterò
e tutto il mondo scorderò,
con te, Lilì Marlen, con te!
Con te, Lilì Marlen

Larga quanto? Paragonabile, forse, a quella degli attuali successi della hit parade planetaria: un risultato formidabile, considerato che allora il mondo era consumato dalle fiamme del secondo conflitto mondiale e la televisione come mezzo di comunicazione di massa non esisteva ancora. L’immensa popolarità della versione tedesca impose ben presto una versione inglese. Si racconta che un editore musicale inglese, J. J. Phillips, dopo aver ascoltato le critiche di un gruppo di compatrioti in divisa, arrabbiati perché costretti a cantare la canzone del momento in tedesco, affidò al paroliere Tommie Connor la versione che, cantata da Anne Shelton, decretò il trionfo di “Lilì Marlen” tra i militari alleati: un successo reiterato dall’esecuzione di Vera Lynn per la BBC e consacrato dallo spettacolo per le truppe La ragazza sotto il fanale che Marlene Dietrich, la famosa attrice cinematografica di origine tedesca ma naturalizzata americana dal 1939, portò in tournée dal Nordafrica alla Sicilia, dall’Alaska alla Groenlandia, dall’Islanda all’Inghilterra. E, a partire dal 1943, non mancò neppure una parodia di Lilì Marlen in chiave antihitleriana interpretata da Lucy Mannheim.

L’VIII Armata inglese la adottò come proprio inno nonostante l’origine ‘nazista’.

Tradotta in 48 lingue, amata dal leader iugoslavo Tito, è senz’altro la più famosa canzone di guerra di tutti i tempi: forse proprio perché non parla di guerra, ma di un sogno d’amore infranto dalla spietata legge delle armi. Richiesta di spiegare l’enorme successo della canzonetta che aveva avuto la ventura di interpretare per prima, Lale Andersen rispose: “Come fa il vento a spiegare perché è diventato tempesta?”

La versione italiana, dovuta a Nino Rastelli, fu portata al successo da Carla Mignone, in arte Milly, da Meme Bianchi e soprattutto da Lina Termini a partire dal 1942. E anche in Italia non mancarono le parodie della più famosa canzone del momento che divenne così il mezzo più immediato per veicolare stati d’animo di rabbia e di una prima, ancora non del tutto consapevole opposizione al regime fascista. Ecco una strofa ‘contro’ in un comprensibilissimo dialetto piemontese:

Tutte le sere ‘nda lett sensa mangiar
e la matina a un’ora andà a lavorar,
dopu mezz dì, patati e ris,
el noster “dus” el fa on sorris…
Evviva l’italian

c’on ettu e mezz de pan!


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