Osservando in televisione la moltitudine inferocita radunata di fronte al Congresso degli Stati Uniti, e in parte penetratavi poi all’interno, mi è tornato in mente un brano de I promessi sposi di Alessandro Manzoni, in cui, nel mezzo del racconto riguardante la sommossa del pane nella Milano del 1628, il grande scrittore interrompe momentaneamente quella cronaca, per proporre ai lettori una, si potrebbe dire, analisi della psicologia delle folle. Brano che, alla luce dei fatti di Washington, vale la pena rileggere:
Chi forma poi la massa, e quasi il materiale del tumulto, è un miscuglio accidentale d’uomini, che, più o meno, per gradazioni indefinite, tengono dell’uno e dell’altro estremo: un po’ riscaldati, un po’ furbi, un po’ inclinati a una certa giustizia, come l’intendon loro, un po’ vogliosi di vederne qualcheduna grossa, pronti alla ferocia e alla misericordia, a detestare e ad adorare, secondo che si presenti l’occasione di provar con pienezza l’uno o l’altro sentimento; avidi ogni momento di sapere, di credere qualche cosa grossa, bisognosi di gridare, d’applaudire a qualcheduno, d’urlargli dietro. Viva e moia, son le parole che mandan fuori più volentieri; e chi è riuscito a persuaderli che un tale non meriti d’essere squartato, non ha bisogno di spender più parole per convincerli che sia degno d’esser portato in trionfo: attori, spettatori, strumenti, ostacoli, secondo il vento; pronti anche a stare zitti, quando non sentan più grida da ripetere, a finirla, quando manchino gl’istigatori, a sbandarsi, quando molte voci concordi e non contraddette abbiano detto: andiamo; e a tornarsene a casa, domandandosi l’uno con l’altro: cos’è stato?
Insomma, quattro secoli dopo, nonostante i progressi avvenuti in ogni ambito culturale e sociale, i sentimenti delle masse in rivolta sono sempre gli stessi. Anche perché sono “sempre gli stessi” coloro che, unicamente per il proprio tornaconto, soffiano sul fuoco eternamente acceso dei pregiudizi.
Michele Tarabini