Nel difforme e vario panorama della narrativa meridionale del Novecento, l’attività letteraria di Leonardo Sciascia si distingue per l’ incessante impegno morale e civile e per la sua denuncia etica e sociale.
Lo scrittore, come si evince dalle opere, ha lottato con gli strumenti del vero e del reale, dei quali si è servito per proiettare sulle pagine dei suoi testi la visione razionale di un problema generale, quello del Sud Italia che per secoli è stato esposto ad un cumulo di equivoci ed ambiguità. Proprio da qui nasce e si muove quello stretto rapporto tra narrativa e saggistica che pochi scrittori hanno vissuto, in termini fruitivi, come Sciascia.
«Le cose che scrivo», diceva lo scrittore siciliano, «partono sempre da un’idea e si svolgono su uno schema. Voglio ‘dimostrare’ qualcosa servendomi della rappresentazione di un fatto immaginato o inventato, e dico inventato nel senso di trovato: trovato nella storia e nella cronaca».
Quella di Sciascia è, dunque, una saggistica che assume i modi del racconto, delineando l’intera sua produzione nella duplice componente e dando al saggio il valore di verifica dei fatti narrati.
Nell’attività saggistica come in quella narrativa il problema della mafia è un tema sul quale Sciascia ritorna con insistenza con opere che gli hanno permesso di raggiungere la maggior fama, come i romanzi Il giorno della civetta e A ciascuno il suo i quali trovano un riscontro o paragone nel saggio Pirandello e la Sicilia. Qui vengono analizzati i rapporti tra mafia italiana e mafia negli Stati Uniti, un legame che ha profonde ragioni storiche di incontro e di raccordo, lungo trame e canali misteriosi che Leonardo Sciascia cerca di spiegare a lume di ragione.
Nel centenario della sua nascita si vuol ricordare appunto il suo culto per la ragione che lo orientò verso un’indagine di tipo illuminista e cartesiano.
Dell’uomo e dell’intellettuale si ricorda la coscienza vigile e provvida che ha sempre illuminato il suo cammino di scrittore; un maestro, testimone della parola onesta e innamorata.
Sapeva bene Sciascia, come scriveva nel Consiglio d’Egitto, che la menzogna è più forte della verità. Più forte della vita. Sta alle radici dell’essere, frondeggia al di là della vita e dunque, nella sua costruzione narrativa come nella quotidianità famigliare e amicale, non cessò mai di combattere la mistificazione e la menzogna, e di praticare l’intelligenza critica, anche quando il confronto, talora polemico, con la realtà era drammatico e risultava scomodo. E sapeva anche, anzi ne era profondamente convinto, che la lotta civile ed umana contro la corruzione e il malaffare, restano senza esito quando gli strumenti a disposizione sono solo quelli della letteratura.
Giuseppina Rando
L'insularità è un fatto
Leonardo Sciascia intervistato da Sergio Palumbo