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Giuseppina Rando. “Bottigliette” di Sophie van Llewyn
07 Gennaio 2021
 

Sophie van Llewyn

Bottigliette

Traduzione di Elvira Grassi

Keller, 2020, pp. 232, € 16,00

 

Realtà storica intrisa di miseria e arretratezza, tradizioni e riti magici, odio ed amore, orrore e bellezza stanno alla base della vicenda narrata da Sophie van Llewyn,* in Bottigliette, romanzo d’esordio, creato come una flash fiction e candidato al Women’s Prize, al Republic of Consciousness Prize e al People’s Book Prize.

Un romanzo straordinario, tra il surreale, il thriller e il realismo sociale.

Siamo nella Romania degli anni Settanta, oppressa dal regime comunista di Nicolae Ceaușescu: Alina e Liviu, giovani e innamorati si sposano, ma faticano ad adattare la propria vita negli spazi chiusi della dittatura.

Tutto peggiora poi quando il fratello di Liviu fugge all’Ovest e, poco dopo, Alina si rifiuta di denunciare una sua piccola allieva per il possesso di una rivista proibita.

La coppia entra così nel mirino delle forze governative, e le loro rispettive carriere, insieme al matrimonio, cominciano a sgretolarsi.

Non resta che scappare almeno per provare a salvare quel che resta della loro felicità.

La madre di Alina, la comunista più convinta che sia mai esistita, non condivide le idee di libertà della figlia, anzi la contrasta in accordo con la Securitate decisa a distruggere le loro vite. Alina decide così di rivolgersi a zia Theresa, moglie di un importante esponente del partito e depositaria di antichi e magici rituali popolari…

E sarà la magia a dare una svolta determinante alle vite di tutti.

Oltre che un reportage sociologico e politico Bottigliette è da considerarsi un documento letterario per la tensione della prosa aperta alla poesia.

C’è infatti nella scrittrice la costante di una poetica caratterizzata da una grazia stabile che tuttavia sottende un forte tormento esistenziale, mitigato ora da una sottile ironia, ora dalle rarefazioni delle immagini.

() C’è qualcosa nel modo in cui vortichiamo uno attorno all’altra la sera tardi, sussurrandoci a vicenda delle cose nell’orecchio, raccogliendo ciò che rimane del nostro banchetto. C’è qualcosa nel modo in cui sorridiamo e ci stringiamo le mani, alziamo il volume della TV e della radio, lasciamo scorrere l’acqua, disorientando gli uomini che si sono insinuati nelle nostre vite, per poter parlare e fare programmi sul nostro luminoso avvenire. C’è qualcosa nel modo in cui la speranza risale strisciando sulle nostre spalle fino a premere i suoi palmi contro i nostri occhi, facendoci sorridere pur se ignari del futuro. E siamo entrambi riluttanti a pronunciare il suo nome, per paura che possa svanire. C’è qualcosa nel modo in cui ci abbracciamo di notte, come naufraghi, come quell’estate in cui il mare ci lambiva i piedi, come quando ci siamo conosciuti. C’è qualcosa nel modo in cui diciamo lo faremo, lo faremo, lo faremo che risuona nelle nostre orecchie come una musica. ()

S’avverte tra le pagine un senso di vuoto, di perdita e non solo della libertà, un vuoto che opprime e porta alla morte e non tanto quella fisica.

Perdite personalissime sono sondate dal punto di vista esistenziale, mentre le morti collettive appaiono come fotogrammi nitidi, (le violenze e le torture inflitte ai dissidenti) scolpiti nella terrificante realtà della dittatura.

Anche un uomo giusto e corretto come Liviu si ammala irrimediabilmente nell’anima perché vive in una società malata così come Alina, anche se forte e determinata, non esce indenne dalle atrocità della dittatura, che lascia indelebili segni nella sua esistenza.

Sophie van Llewyn, con grande originalità, riesce a tratteggiare gli orrori della Romania comunista e parallelamente raffigurare con intensità e grazia il carattere di una donna che cerca la libertà sopra ogni cosa con quel cuore che le si blocca in petto per il troppo battere, “come un uomo che cerca di uscire da un edificio in fiamme”.

Un esordio che si inserisce nella tradizione della letteratura dell’assurdo tipica della narrativa dell’Est Europa, un romanzo che affascina grazie alla qualità letteraria della prosa e ai bagliori della poesia.

Prosa e poesia, intrecciandosi nella stesura della dolorosa narrazione, divengono infine coralità di voci, viandanti sospesi nella sfera del sogno di cui il sognante riesce a segnare il tragitto e cogliere i significati nascosti.

 

Giuseppina Rando

 

 

* Sophie van Llewyn è nata e cresciuta a Tulcea, nel sud-est della Romania, vicino al delta del Danubio. Al termine degli studi si è trasferita in Germania dove vive e lavora in ambito medico. Scrive in lingua inglese. Ha pubblicato articoli e racconti su varie testate e riviste, tra cui The Guardian, New Delta Review, Ambit, Litro, New South Journal, Banshee.


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