I novant’anni compiuti da lo scorso dicembre da un grande autore cinematografico - Jean-Luc Godard; e la morte, avvenuta poco prima di Natale, dell’attore Claude Brasseur, mi inducono a parlarvi di un film in cui quel regista e quell’attore hanno lavorato insieme.
Si tratta ormai di un classico del cinema, amato e citato nei loro film da autori come Bertolucci e Tarantino; il quale Tarantino ha dato alla sua casa di produzione il nome di tale film.
Come i cinefili avranno capito, si tratta di Bande à part (si può tradurre: “Gruppo a parte”), realizzato nel ’64, e oggi visibile in versione restaurata su alcune piattaforme digitali come Amazon Prime Video e Chili.
Bande à part è, a mio parere, un film “doppio”: racchiude cioè un film apparente, e un film reale che si può indovinare solo guardando il film apparente come in controluce.
L’apparenza è quella di un film di genere poliziesco – tratto in effetti da uno dei romanzi della popolare “série noire”. Racconta di due piccoli delinquenti, che approfittano dell’amicizia con una ragazza che convive con una ricca zia in un villino a bordo Senna, per penetrare nell’abitazione e derubare un ospite della proprietaria.
In effetti però il fatto criminale non costituisce il centro focale del racconto. La rapina occupa soltanto la parte finale del film; è come deprivata di suspense, risolta, nello stile, a momenti, con la con la leggerezza di un divertimento, anche se poi ha un esito tragico. I due compari sembrano recitare il ruolo dei delinquenti come potrebbero farlo degli appassionati di cinema, e a volte in modo deliberatamente guittesco.
Il corpo centrale del film è dedicato all’amicizia tra i due uomini, e più ancora al loro corteggiamento della ragazza, la quale aveva già avviato una relazione con uno dei due. Ma quando questi le presenta l’amico, meno bello di lui, ma più loquace e charmant, più seduttivo (lo interpreta, appunto, Brasseur) la ragazza sembra propendere per quest’ultimo, senza però che tra i due uomini la gelosia prevalga sul senso di complicità.
Dicevo che è un film da leggere in controluce perché, travestita – come per un gioco dell’immaginazione – da poliziesco, si può riconoscere una cronaca di vita bohémienne: la vita cioè di alcuni giovani artisti squattrinati, appassionati di cinema e di libri, dai costumi amorosi piuttosto libertari, gli uomini affetti tuttavia da un certo maschilismo, a volte inclini alla tristezza per via della loro povertà, dell’incertezza del futuro; indignati per le ingiustizie sociali (senza tuttavia che tale indignazione assuma la rigidità ideologica di certi film successivi di Godard); ma allo stesso tempo allegri o comunque vitali.
Una cronaca che si snoda per tanti luoghi di una Parigi invernale: i caffé, i viali notturni illuminati dai lampioni e dalle insegne, le bancarelle di libri sul lungo Senna, il museo del Louvre; restituita, dalla fotografia in bianco e nero di Raoul Coutard e dalla ripresa esatta dei suoni, senza artifici spettacolari, come in un documentario, nella sua malinconia e nella sua dolcezza.
Ed è una cronaca poetica proprio per i variegati sentimenti di cui è intessuta.
Godard è uno di quegli autori che Silvano Agosti definirebbe “immortali”, nei programmi di sala dello storico cineclub che ha fondato a Roma, l’Azzurro Scipioni. Cito questo locale prezioso, nato per diffondere il cinema d’autore del passato e del presente, perché rischia di chiudere a causa di un forte rialzo del prezzo dell’affitto. Io spero che le istituzioni intervengano per scongiurare questa eventualità.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 2 gennaio 2021
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