Matilde Jonas
Cronache di misteri e di follie
Puntoacapo, 2020, pp. 184, € 15,00
Fin dagli anni ottanta dedita alla letteratura, curatrice per sette anni della pagina culturale del quotidiano fiorentino La Città, Matilde Jonas ha una ampia storia di pubblicazioni e collaborazioni con diverse case editrici, medie e grandi.
Nei racconti di Cronache di misteri e di follie evidenzia chiaramente una formazione solida nel campo della psicologia, perché le sue creature sono analizzate e scavate nel profondo.
Sono storie dalla struttura non lineare, che chiedono una lettura attenta, che afferrano con forza, alimentano la voglia di indagare. Narrativa compatta, quella della Jonas, che a prima vista fa pensare alla saggistica, invece si rivela carica di tensione, e trascina dentro le pieghe insondabili della natura umana, nel mistero che determina e avvolge i comportamenti e le scelte: “nella vita ci sono misteri che non possono e non devono venire svelati”.
Del resto se la realtà, come già è stato ipotizzato, non è quella che si vede e forse non è altro che sogno, allora realtà e sogni possono intrecciarsi, l’immaginazione può costruire una vita parallela, mentre cadono i confini di spazio e di tempo.
Forse, per non impazzire, ci si deve limitare alla “accettazione di ciò che accade senza porsi domande” e “percepirsi avvolti dal mistero e accoglierlo in sé”.
C’è un invisibile che ci vive a fianco, e il nostro inconscio ci fa vivere a dimensioni sopra-reali. Ci sono segreti che nascondiamo dietro un volto levigato e sorridente, finché una mattina lo specchio rende la nostra immagine vera: “So chi sei… Sei l’incarnazione delle mie paure: lo spettro di quella che avrei potuto essere io, se non mi fossi ribellata al destino preconfezionato che avevo trovato ad attendermi”. Ma quello che lo specchio rende non è uno spettro, bensì la parte rinnegata di sé, quella soffocata.
Talora le nostre paure si possono trasformare in incubi notturni, nella sensazione di essere in pericolo costante: incubi che una donna si sforza di razionalizzare, di tenere sotto controllo, di attribuire alla fantasia malata, se non che, come una drammatica Cassandra, li vede improvvisamente avverarsi.
La sofferenza di una maternità negata può diventare la scelta di vivere in un mondo fuori dell’ordinario, come se fosse realtà. Si può cercare disperatamente una donna amata, dimentichi dei crimini commessi, quando ormai i fantasmi della mente sconfinano nella pazzia. Amore, morte, follia, aleggiano in queste storie.
Se è così difficile scendere nell’intrigo delle nostre stesse pulsioni, dei sentimenti, delle paure, ancora più difficile è conoscere l’altro nel rapporto di coppia: si possono verificare dinamiche complesse, si può rimanere stregati da un’immagine o dalla proiezione che ci siamo fatti di essa, fino a perdere la lucidità, fino a vivere situazioni in cui vittima e carnefice si identificano.
Anche la bellezza e la gioia sono beni da non indagare, giusto è viverli senza chiedere che cosa sarà domani, ne è simbolo una ballerina dai capelli rossi, quasi una creatura immaginaria, che appare, vive la gioia, scompare. E non vuole essere cercata. Decide lei quando tornare. Come la gioia, del resto, e come la fortuna, che sono così volatili.
A lettura finita rimane la vaga impressione di aver ascoltato, non visti, una serie di sedute psicanalitiche. E ci si chiede se mai ci ha sfiorato uno di quei pensieri, se mai abbiamo conosciuto o vissuto qualcosa di simile.
In un mondo così pieno di lacerazioni e di sofferenze, dove il sogno e la fantasia – ed anche la scrittura – sono una via di fuga, la Jonas offre comunque una possibilità concreta di salvezza attraverso le mani di una zingara che lascia nel terreno “i semi da cui deve nascere un mondo nuovo”, con la convinzione “che gli uomini, presto o tardi avrebbero cessato di dissipare la propria esistenza, avrebbero riscoperto di avere un cuore, e sarebbero tornati sui propri passi”. Una fiducia nell’umanità di cui c’è urgente bisogno in questo momento.
Marisa Cecchetti