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Giuseppina Rando. Anna Maria Ortese: Una scrittrice scomoda e dimenticata, ma attuale…
16 Dicembre 2020
 

Solo qualche volta mi sento di appartenere alla specie umana.

Anna Maria Ortese

 

 

Anna Maria Ortese (Roma 1914 - Rapallo 1998) scrittrice e poeta ha avuto poco successo di pubblico e scarsa attenzione da parte della critica.

Una scrittrice scomoda, ignorata dalla critica ufficiale, e per tanti anni oscurata.

Nella “Storia della Letteratura italiana”, curata da illustri accademici, il suo nome non compare.

Non sono tuttavia mancati sostenitori nel mondo letterario, come Pietro Citati che definendola “la zingara sognante”, ha colto l’essenza stessa della Ortese:

(…) Malgrado la mia vita non sia ciò che si dice una vita realizzata, devo considerarmi fortunata perché, su un totale di almeno cinquant’anni di vita adulta, riuscii qualche volta ad accostare questa riva luminosa – io che mi considero un eterno naufrago – dell’espressione o espressività che avevano per scopo questo eterno interesse: cogliere e fissare… il meraviglioso fenomeno del vivere e del sentire ().Tale sentimento può essere meglio definito dalle parole: estasi, estatico, fuggente, insondabile... (da Corpo Celeste)*

e rilevato uno degli aspetti più caratteristici dei suoi libri: una scrittura difficile, complessa, sfuggente.

Massimo Bontempelli, invece, colloca Anna Maria Ortese nella corrente del realismo magico italiano, che evidenzia specialmente nel senso di stupore e meraviglia presente nelle sue opere ed in particolare nel volume Angelici dolori, libro d’esordio nel 1937.

Sono sentimenti quasi infantili, quelli che racconta la Ortese, sentimenti che si mescolano a un’atmosfera di malinconia, di tragedia inevitabile, di tristezza inconsolabile scaturita dalla vita della scrittrice segnata da lutti, prima quello del fratello Manuele, marinaio morto al largo dell’isola di Martinica, poi quello del fratello Antonio, altro marinaio, morto lungo le coste dell’Albania, e in seguito quello dei genitori.

Le pagine dei suoi romanzi e dei suoi racconti sono intrise di impegno etico e di interesse verso gli esclusi, gli ultimi, i poveri, i bambini , gli animali, la natura tutta.

Le opere successive (L’infanta sepolta, 1950; Il mare non bagna Napoli, 1953, premio Viareggio; I giorni del cielo, 1958; Silenzio a Milano, 1958) rivelano una tempra narrativa aliena dal gioco cerebrale della poetica novecentista: a metà fra il saggio e il racconto con invenzioni favolose incastrate in documentari di estrema esattezza e lucidità. Polemica morale e fantasia trasfiguratrice s’intrecciano ancora nei romanzi successivi: L’iguana (1965), Poveri e semplici (1967, premio Strega), Il porto di Toledo (1975), Il cappello piumato (1979), e negli ultimi Il cardillo addolorato (1993) e Alonso e i visionari (1996).

Corpo celeste, ultima opera, è la summa del suo pensiero e suo testamento spirituale. Un libro molto attuale dove l’autrice, sotto forma di intervista, analizza l’uomo contemporaneo che esasperato ed accecato dal denaro, ha perso il modo di vedere le cose, ha spezzato l’armonia della natura e la bellezza.

Eloquente il seguente passo:

Ecco, ho finito. Ho finito anche di essere uno scrittore – se mai lo sono stata –, ma sono lieta di averlo tentato. Sono lieta di aver speso la mia vita per questo. Sono lieta, in mezzo alle mie tristezze mediterranee, di essere qui. E dirvi com’è bello pensare strutture di luce, e gettarle come reti aeree sulla terra, perché essa non sia più quel luogo buio e perduto che a molti appare, o quel luogo di schiavi che a molti si dimostra – se vengono a occupare i linguaggi, il respiro, la dignità delle persone. A dirvi come sia buona la Terra, e il primo dei valori, e da difendere in ogni momento. Nei suoi paesi, anche nei suoi boschi, nelle sorgenti, nelle campagne, dovunque siano occhi – anche occhi di uccello o domestico o selvatico animale. Dovunque siano occhi che vi guardano con pace o paura, là vi è qualcosa di celeste, e bisogna onorarlo e difenderlo. So questo. Che la Terra è un corpo celeste, che la vita che vi si espande da tempi immemorabili è prima dell’uomo, prima ancora della cultura, e chiede di continuare a essere, e a essere amata, come l’uomo chiede di continuare a essere, e a essere accettato, anche se non immediatamente capito e soprattutto non utile. Tutto è uomo. Io sono dalla parte di quanti credono nell’assoluta santità di un albero e di una bestia, nel diritto dell’albero, della bestia, di vivere serenamente, rispettati, tutto il loro tempo. Sono dalla parte della voce increata che si libera in ogni essere – al di là di tutte le barriere – e sono per il rispetto e l’amore che si deve loro.

C’è un mondo vecchio, fondato sullo sfruttamento della natura madre, sul disordine della natura umana, sulla certezza che di sacro non vi sia nulla. Io rispondo che tutto è divino e intoccabile: e più sacri di ogni cosa sono le sorgenti, le nubi, i boschi e i loro piccoli abitanti. E l’uomo non può trasformare questo splendore in scatolame e merce, ma deve vivere e essere felice con altri sistemi, d’intelligenza e di pace, accanto a queste forze celesti. Che queste sono le guerre perdute per pura cupidigia: i paesi senza più boschi e torrenti, e le città senza più bambini amati e vecchi sereni, e donne al disopra dell’utile. Io auspico un mondo innocente. So che è impossibile, perché una volta, in tempi senza tempo e fuori dalla nostra possibilità di storicizzare e ricordare, l’anima dell’uomo perse una guerra. Qui mi aiuta Milton, e tutto ciò che ho appreso dalla letteratura della visione e della severità. Vivere non significa consumare, e il corpo umano non è un luogo di privilegi. Tutto è corpo, e ogni corpo deve assolvere un dovere, se non vuole essere nullificato; deve avere una finalità, che si manifesta nell’obbedienza alle grandi leggi del respiro personale, e del respiro di tutti gli altri viventi. E queste leggi, che sono la solidarietà con tutta la vita vivente, non possono essere trascurate. Noi, oggi, temiamo la guerra e l’atomica. Ma chi perde ogni giorno il suo respiro e la sua felicità, per consentire alle grandi maggioranze umane un estremo abuso di respiro e di felicità fondati sulla distruzione planetaria dei muti e dei deboli – che sono tutte le altre specie –, può forse temere la fine di tutto? Quando la pace e il diritto non saranno solo per una parte dei viventi, e non vorranno dire solo la felicità e il diritto di una parte, e il consumo spietato di tutto il resto, solo allora, quando anche la pace del fiume e dell’uccello sarà possibile, saranno possibili, facili come un sorriso, anche la pace e la vera sicurezza dell’uomo.

Ecco, come sono venuta vado via; e vi ringrazio di avermi ascoltata; mi scuso se ho detto troppo o confusamente; e se ho detto poco, e se ho potuto dispiacervi. Come dicono i bambini: non l’ho fatto apposta. Vi auguro un buon giorno di pace e di comprensione. La vita è più grande di tutto, ed è in ogni luogo, e da tutte le parti – proprio da tutte le parti – chiede amicizia e aiuto. Non chiede che questo. E il valore di ogni buona risposta è immenso, se anche non dimostrabile. Amate e difendete il libero respiro di ogni paese, e di ogni vita vivente.

Questo invito, alla fine, calma e consola la mia stessa tristezza, e il senso di essere stata uno scrittore inutile. Ma non lo sono stata del tutto se, oltre il mio respiro, ho appreso a desiderare il libero respiro di ogni creatura e di ogni paese. È tutto, il respiro. È Dio stesso; ed è la cultura quando non fine a se stessa; quando, d’un tratto – voi non lo sapevate che era anche questo -, solleva e trasporta i popoli, come fa a volte, con le confuse onde del mare, un gran vento celeste.

(19 febbraio 1980)*

Raramente si leggono pagine così profonde, lucide e amare. C’è il coraggio di idee che non si vendono, non si compromettono con il denaro.

Bellissime pagine da leggere e rileggere.

 

Giuseppina Rando

 

 

* Anna Maria Ortese, Corpo celeste, Adelphi, Milano 1997, pp. 159.


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