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Maria Paola Forlani. Espressionismo tedesco dalla Collezione del Barone Thyssen-Bornemisza
10 Dicembre 2020
 

I capolavori della grande stagione tedesca del primo ‘900 riuniti da Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza, visibili, ora, anche nel bel catalogo pubblicato dal museo.

L’espressionismo non fu rivoluzionario solo dal punto di vista estetico, ma fu anche la prima avanguardia a occuparsi direttamente delle dirompenti questioni storiche. L’Impressionismo e poi il Cubismo si interessarono principalmente del nuovo modo di percepire la realtà; l’Espressionismo, con i suoi toni accesi e stridenti e con l’inedita caratterizzazione della figura umana, raffigurò l’inquietudine dell’uomo diviso, oggetto di studio della nascente psicanalisi. Ma trasfigurò in forma pittorica e scultorea anche l’impianto della società industriale sugli individui e l’instabilità provocata dai conflitti sfociati nella Prima guerra mondiale. Non a caso, il movimento continuò a essere influente per tutto il secolo e in parte continua a esserlo oggi. Ci fu pure un ritorno in auge, sebbene con motivazioni diverse, negli anni Ottanta, con il Neoespressionismo soprattutto in area tedesca.

Il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid ripercorre la stagione di questa corrente storica, concentrandosi sul filone tedesco. E così facendo ripercorre anche la propria storia. Se Heinrich Thyssen detto Heini (del quale nel 2021 ricorre il centenario della nascita) si dedicò dagli anni Sessanta all’arte moderna e contemporanea e in particolare ad acquistare capolavori dell’Espressionismo tedesco. La mostra analizza con dovizia di particolari non solo l’incontro tra collezionismo e opere, ma anche l’evoluzione dell’Espressionismo, la sua diffusione e le reazioni che suscitò nel corso degli anni, non ultima la tragedia messa al bando da parte del regime nazista (oltre all’interesse artistico e alla voglia di “svecchiare” la collezione, tra le motivazioni di Hans Heinrich nell’acquistare le opere ci fu proprio la volontà di smarcarsi dall’implicazione col regime della sua famiglia).

Il percorso parte da un’esplorazione dell’atelier come luogo fondamentale della creazione, con opere come Fränzi davanti a una sedia intagliata (1910) e Nudo in ginocchio davanti a un paravento rosso (1911-12) di Ernst Ludwig Kirchener (entrambe opere appartenenti al periodo del Die Brücke, (Il Ponte) e Davanti alla tenda (1912) di Erich Heckel. Se Fränzi evidenzia alcune delle caratteristiche tipicamente attribuite all’Espressionismo come le pennellate libere e convulse, il movimento quasi istintivo della figura, il soggetto “povero” proveniente dalla classe operaia, le altre due opere rendono invece evidente la componente più ragionata, quasi teatrale con la quale venivano spesso composte le scene. Il contraltare dell’intimità dello studio è poi il paesaggio, altro leitmotiv espressionista ripercorso in un’altra sezione della mostra. Qui opere come Estate a Nida (1919-20) di Max Pechstein e il ponte Marsh (1910) e Giardino di fiori (1917) di Emil Nolde rendono evidente come il paesaggio sia un pretesto per visioni che puntano all’infinito, utopistiche, che evocano forze animiste e slanci primitivi. Non a caso Van Gogh, Munch e Gauguin sono gli artisti indicati come ispiratori nella sala intitolata Riferimenti, che confronta esempi delle opere di questi maestri con alcune prove giovanili degli espressionisti.

Ampio spazio è riservato naturalmente alla stagione del Blaue Reiter (Cavaliere azzurro), con Vassilij Kandinskij, Franz Marc, August Marcke, Paul Klee, Lyonel Feininger, Alexej von Jawlensky. La particolare ricerca dello “spirituale” del gruppo sorto a Monaco di Baviera nel 1911 viene analizzata anche in rapporto con la tradizione artistica, completamente rivisitata ma presente nelle loro invenzione. Di Marc è in mostra, tra l’altro, il maestoso Sogno del 1912, con i tipici cavalli; nel caso di Kandinskij si passa dalla figurazione trasfigurata di un dipinto come la Ludwigskirche a Monaco (1908) alle sue tipiche vertiginose composizioni astratte come Figura con tre macchie n. 196 (1914). Klee è presente a sua volta con alcuni dipinti che esplorano il segno infantile/primitivo per astrarre figure di case, che perdono così ogni coordinata spaziale, creando un doppio della realtà apparentato al sogno.

Nella fase successiva, l’Espressionismo si scontra letteralmente con la Storia. Prima per lo scoppio della guerra, che induce visioni cupe, apocalittiche e travolgenti, da incubo a occhi aperti come in Metropolis (1916-17) di George Grosz. E poi “arte degenerata” da parte del nazismo, testimoniato in mostra da diverse opere che furono all’epoca confiscate e in alcuni casi rivendute dallo stesso regime, come appunto Metropolis di Groz, Nuvole estive (1913) di Emile Nolde e Ritratto di Siddi Heckel (1913) di Erich Heckel. Ma lo stile e l’ideale espressionisti non muoiono, anzi si diffondono lasciando un’eco anche in molta arte del Secondo dopoguerra. E vengono riabilitati prima di tutto in Germania, anche tramite Thyssen e il suo acquisto in asta nel 1961 di Giovane coppia di Nolde, acquarello battuto per 39mila marchi che diede il via alla nuova collezione rilevata poi nel 1993 dallo stato spagnolo. Nel 2021, al Thyssen, seguiranno altre mostre che esploreranno gli altri filoni collezionati dal barone Hans Heinrich come la pittura americana.

 

M.P.F.


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