Ci fu un tempo in cui la RAI svolgeva anche la funzione di cineclub. E cioè divulgava la storia del cinema, proponendo rassegne di film dedicate ai maggiori autori o a correnti cinematografiche. È una funzione che ha da tempo dismesso, anche se competerebbe al suo ruolo di servizio pubblico (la sola eccezione, mi sembra, è la rubrica notturna “Fuori orario” su Rai Tre).
Da qualche tempo, però, la piattaforma digitale RaiPlay sembra in parte recuperare quell’antica funzione della Rai. Ecco così che da alcuni giorni si possono ritrovare su RaiPlay 11 film di François Truffaut e alcuni film di un regista quasi contemporaneo a Truffaut, altrettanto importante, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita e il decennale della morte, e cioè Eric Rohmer.
Di Rohmer, in particolare, si possono vedere su RaiPlay in versione restaurata – o in francese con i sottotitoli in italiano o doppiati in italiano – i quattro film che compongono il bellissimo ciclo dei Racconti delle Quattro Stagioni. E in omaggio a questa iniziativa di RaiPlay voglio oggi parlarvi di Racconto d’autunno, un film del 1998.
Vi si ritrova una qualità ricorrente nel cinema di Rohmer: l’attore, per così dire, scompare nel personaggio, tanto da darci l’impressione non di interpretarlo, ma di esserlo lui stesso. È una naturalezza che cela un abilissimo artificio, di recitazione certo, ma prima ancora di drammaturgia. Il personaggio sembra scritto su misura dell’attore, così da favorire l’identificazione con lui; e allo stesso tempo è così sfumato, contraddittorio, non semplificato, non irrigidito in un cliché, da darci la sensazione di una persona viva.
Nel caso di Racconto d’autunno il personaggio principale è una donna in età matura, interpretata da Béatrice Romand, la quale vive da sola in campagna. È vedova, i suoi due figli già grandi si sono emancipati da lei.
La donna non mostra di soffrire per la propria solitudine. È tutta dedita alla coltivazione delle viti e alla produzione artigianale di un vino che, significativamente, possa mantenere un buon sapore anche invecchiando.
Eppure, basta che un’amica sfiori l’argomento della mancanza di un uomo al suo fianco, perché lei sia colta da una piccola crisi di pianto.
Ecco allora che quell’amica stessa, e un’altra amica più giovane, si danno entrambe il compito – per gioco, per sfida, per generosità, o per un sottile calcolo egoistico – di trovarle un compagno.
Non sarà una missione facile: perché il carattere della protagonista si rivelerà a tratti aspro, ostinato, diffidente; di chi si protegge nella corazza della propria solitudine pur soffrendone, mascherando la propria effettiva disponibilità sentimentale.
Eppure uno dei due tentativi, il più altruistico, andrà a buon fine. Mentre l’altro fallirà.
Nel film evocano l’autunno l’età della protagonista, il tema della vendemmia, le foglie ingiallite, la luce del tramonto.
Ma il racconto è così poco convenzionale che questo autunno che segna la nascita di un nuovo amore – preceduta da emozioni come l’ansia, la trepidazione, un improvviso sconforto e il riaffiorare di un senso di speranza – è un autunno che finisce per sprigionare da sé una primavera.
Il resoconto di un film di Rohmer è sempre molto riduttivo, tante sono le sottigliezze psicologiche di cui è intessuto.
Vi invito, dunque, a vedere, o a rivedere, Racconto d’autunno su RaiPlay.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 21 novembre 2020
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