I giovani, oggi, danno talvolta l’impressione di non conoscere bene cosa siano stati il fascismo ed il nazismo. Ritengo utile, ripercorrendo i miei ricordi, evidenziare la reazione di giovani studenti di diversi anni or sono in occasione di una visita guidata alla quale ho preso parte dietro invito dell’Anpi (non ero ancora iscritto, ma il mio pensiero era già noto) e dell’ISSREC. Ho così partecipato alla visita guidata del Museo della deportazione di Carpi, del campo di transito di Fossoli ed infine della Sala del Tricolore di Reggio Emilia.
La visita è stata organizzata dietro richiesta di due scuole: l’allora Istituto magistrale “Lena Perpenti” di Sondrio e il Lycée “Sant Joseph” di Tonon-le-Bains nel quadro di incontri e scambi a carattere storico-culturale tra Italia e Francia. Guidavano la delegazione i partigiani Rachele Brenna e Ottavio Valla, mentre gli studenti italiani erano accompagnati dalle professoresse Lori Fabbri e Rosanna Pusterla, e quelli francesi dai professori Andrè Huteville e Nicole Baud.
A Palazzo Pio, nel centro storico di Carpi, siamo stati accolti al Museo del deportato che occupa l’intero piano terra dell’edificio. In 13 sale sono sistemati graffiti di Picasso, Longoni, Lèger e Guttuso, incisioni di brani tratti dalle lettere dei condannati a morte della Resistenza europea, teche contenenti reperti materiali e fotografici dei campi nazisti, infine i nomi dei 15.000 italiani deportati nei lager dal campo di Fossoli. L’insieme suscita un impatto emotivo suggestivo. I ragazzi hanno ascoltato le spiegazioni della guida in silenzio religioso. “La divisione tra i diversi tipi di campi era dovuta ad esigenze operative, ma sempre finalizzata ad un unico obiettivo: lo sterminio totale”. E ha poi aggiunto: “Occorreva agire con razionalità, freddezza, tempistica perfetta. Si uccideva con naturalezza, senza odio, contando i caduti perché i numeri corrispondessero ai programmi. Gli esecutori sembravano più ragionieri che persecutori. Certo, erano ragionieri della morte, ma a loro non faceva impressione, è un fatto normale; i deportati, per loro, erano cose, non persone”.
Esterrefatti dall’apprendere fatti da loro poco conosciuti, i ragazzi, indignati, chiedevano e si chiedevano: “Perché? Perché? Ma come fu possibile?” Difficile, se non impossibile, fornire risposte adeguate. Ma lo sterminio totale c’è stato, studiato e realizzato da uomini, non da animali. Impensabile, orribile, incredibile. Potrebbe succedere ancora. Su di una parete è riportato l’ammonimento di Bertold Brecht: “E voi, imparate che occorre vedere e non guardare in aria; occorre agire e non parlare. Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo! I popoli lo spensero, ma ora non cantiamo vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancora fecondo”.
Sul campo di Fossoli, che visitiamo solo dall’esterno, ho già scritto in altra occasione. Qui ricordo solo che, nato come campo di concentramento per prigionieri inglesi, si trasforma nel maggiore campo di transito per ebrei ed antifascisti in attesa di essere inviati ad Auswitz. Ne fa parte anche Primo Levi, miracolosamente scampato alla morte, ed autore del libro Se questo è un uomo, indimenticabile testimonianza dell’esperienza patita.
A Reggio Emilia siamo stati accolti nella storica Sala del Tricolore, sede del Parlamento della prima repubblica italiana, quella cisalpina, da Otello Montanari, medaglia d’oro della Resistenza. L’anziano partigiano ci ha ricordato come il vessillo bianco rosso e verde a bande orizzontali venne assunto come bandiera della Repubblica Cisalpina formato dalle città di Ferrara, Bologna, Modena e Reggio, sulla base dei principi di libertà, fratellanza ed eguaglianza nel 1797 per divenire, dopo la nascita del Paese, la bandiera italiana, ma a bande verticali. Ha infine stimolato i giovani ad impegnarsi per un’Europa pervasa dai valori di libertà, di democrazia, di pace conquistate a caro prezzo.
Sergio Caivano