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Luciano Luciani. Il XXI Aprile 
Il cinema-varietà degli anni Cinquanta
08 Novembre 2020
 

Oggi supermercato che giorno e notte non chiude mai (nel gergo della contemporaneità si dice “h24”), una volta cinema-teatro, il romano “XXI Aprile”, sul viale omonimo, entra in maniera indelebile nella mia storia infantile. Posizionato all’altezza del piano stradale, al centro dei Palazzi Federici, 26 scale, 650 appartamenti era, ed è ancora, un alveare brulicante di umanità che, sempre per rimanere nei territori del cinema, ha fatto da degno scenario al film Una giornata particolare, 1977, di Ettore Scola con le toccanti interpretazioni di Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Capace di oltre 1.500 posti, quel locale, intorno alla metà degli anni Cinquanta, ha conosciuto anche i fasti del varietà, ovvero di spettacoli di arte varia che, soprattutto nei fine settimana, intervallavano le proiezioni cinematografiche.

Io lo intercettai quando il cinema-teatro “XXI Aprile” era ormai avviato verso un crepuscolo definitivo e privo di bagliori, però molti raccontavano di una passata grandezza: quando le sue scene erano state calcate da stelle del teatro leggero come Wanda Osiris, Aldo Fabrizi, Renato Rascel e un Alberto Sordi alle prime armi. Alla metà o poco più degli anni Cinquanta vi si esibivano compagnie di second’ordine se non di terzo: un mimo, un imitatore, un cantante che gorgheggiava alla maniera di Claudio Villa, un barzellettiere erano i noiosi intrattenitori; sgangherata l’orchestrina sotto il palco, pochi elementi con un’idea dell’accompagnamento musicale da banda paesana, e le bellissime girls, il pezzo forte dello spettacolo, ora sei ora otto, ora addirittura dodici, che denunciavano evidenti limiti di età e di peso: troppi anni e troppi chili per tirarla ancora in lungo con quel mestiere. Lo stesso valeva per la soubrette, in genere attempatella, ma formosa il giusto per pubblici di bocca buona: militari, pensionati, qualche ragazzino in cerca di emozioni da riversare più tardi con le mani tra le gambe.

Ma cosa ci faceva un ragazzino appena decenne in un ambiente così adulto, così scollacciato, e moralmente discutibile? Ero di casa. Sì, perché babbo era, come dire, lo sceneggiatore delle brevi pièces teatrali interpretate sulla scena: magari non proprio lo sceneggiatore titolare, più probabilmente il supplente, e la sua presenza in sala prima e in giro per i camerini poi era finalizzata a garantirsi il pagamento sempre precario, sempre aleatorio. delle sue prestazioni autoriali. Aggirandoci per quegli ambienti dedalici e un po’ claustrofobici, non potevo fare a meno di incontrare i protagonisti dello show di poco prima: orchestrali agées, donnone discinte e bercianti che entravano e uscivano da piccole porte oltre le quali si intravvedeva il veloce passaggio dagli abiti di scena a quelli più modesti della vita quotidiana, mentre comici e fantasisti, impegnati davanti a specchi luminosi a togliersi dal viso trucchi e cerone ritrovavano rughe e capelli bianchi. Fuori, ad aspettare, fidanzati, mariti, mogli, famiglie. A due passi dal “XXI Aprile”, sotto il livello stradale, un altro luogo di perdizione: una sala da ballo dal nome esotico, “Il Nilo” ricco di misteri al sapore d’oriente e di recenti memorie africane.

Non di rado le faticose transazioni economiche tra mio padre e i suoi committenti, pochi fogli da mille, si spostavano al bar, alla Casina delle Rose, che sorgeva al centro del giardinetto di piazza Bologna, davanti al palazzo delle Poste. Allora per me ci scappava quasi sempre un cremino o un chinotto “sebevinerineribevi”, un gioco di parole pubblicitario, un chiasmo perfetto, che quando finalmente lo capii, mi sembrò davvero straordinario.

A casa il babbo e io tornavamo a piedi. Oppure prendevamo il tram; il 5, che arrivava dai confini del mondo, nientemeno che dalla Garbatella, o il 6, più modestamente proveniente dalla Stazione Termini. Stanchi, ma se la trattativa era andata bene, contenti, si scendeva al capolinea a Piazza Istria. Qui si partecipava al resto della famiglia il buon esito della recente contrattazione acquistando in uno dei bar della piazza un vassoio di pastarelle dolci: almeno due a testa e crepi la miseria!

Un ricordo di un film visto al “XXI Aprile”? Più tardo, di quando ormai il varietà non c’era più: La voglia matta con una giovanissima ed emergente Catherine Spaak e un ormai affermato Ugo Tognazzi. Allora, però, ero già uno studente ginnasiale e il divieto della censura ai minori di 14 anni mi fece un baffo. Ero grande, anche se la trama del film mi rese edotto che le complicatezze della vita sentimentale erano alle porte e non avrebbero fatto sconti a nessuno.

 

Luciano Luciani


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