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Alejandro Torreguitart Ruiz: Vento tropicale (Bozzetti avaneri 2)
19 Febbraio 2007
 

Che città di merda è diventata L’Avana.

Uno di questi giorni mi cadrà sulla testa il rudere del palazzo di mia madre. Lo chiamano stile coloniale. Sì, stile coloniale. Buono per i turisti lo stile coloniale. Stile povera gente che vive ammassata tre per stanza, lo chiamo io. E poi mi va tutto storto da un po’ di tempo a questa parte. Non c’è via di scampo.

Juliana dice che esagero. Che devo vedere i lati positivi delle cose.

“Ce ne sono?” domando ironico.

Juliana è la mia migliore amica. Come fosse mia sorella.

Juliana fa la puttana, però mica la puttana da strada. Scopa con gli stranieri e si gode la vita. Parla bene lei, mica deve darsi troppo da fare. Allarga un po’ le gambe e il gioco è fatto. Pranzo e cena sono assicurati. Io non ne sarei capace, non mi ci vedo a fare il jinetero con le vecchie. Ecco perché non trovo lati positivi e mi va tutto di merda.

Studio e non do un esame. Scrivo e non c’è un cane che si accorga che scrivo. Suono e l’altro giorno si è rotta la batteria. Leggo Gutierrez. Malinconia dei leoni. Bel libro, cazzo. Bei racconti. Lo chiamano realismo magico. Almeno se fossi capace di scrivere anch’io dei racconti così, mi dico. E invece non ne sono capace.

“Da domani pianto tutto con questa menata dello scrivere, che tanto mica mi dà da mangiare, e mi metto a rimorchiare straniere sul Malecón” dico amareggiato.

“Renderebbe di più” commenta Juliana.

Brava Juliana. Tu sì che lo sai come si tirano su di morale gli amici, penso.

“Allora fallo tu. Tanto tra poco mi pubblicano un romanzo in Italia” ribatto.

“Sì, bravo. E io sono la figlia di Fidel...” risponde lei ironica.

“Guarda che lo pubblicano davvero” insisto.

“Mah...” fa lei. In fondo non è che gliene importi troppo.

Che poi non lo so mica se mi pubblicano o non mi pubblicano. Quel camajan che ha sposato mia cugina dice di sì, che mi pubblicano. L’editore ha accettato la storia di Maicol, ha detto che è buona, che pare una vera confessione, uno spaccato di vita. Per forza. Lo è. Solo che il protagonista mica lo sa che ho preso a prestito la sua vita per farne un romanzo. L’Italia è lontana e Maicol non sa l’italiano.

Il marito di mia cugina ha firmato il contratto, conosce l’editore, pensa a tutto lui e quando riscuote manda la mia parte. Però ancora non ho visto niente. Niente di concreto, dico. Non danno anticipi in Italia. Pagano sul venduto. E allora non resta che attendere.

Oggi la conversazione con Juliana ha preso una piega che non mi va. Sto scrivendo un romanzo su di lei, sulla sua vita. Una storia di sesso e jineteras, pare che in Italia leggano cose così. Lo spero proprio, perché a Cuba finirei in galera soltanto a parlarne. Juliana oggi ha deciso di prendermi per il culo invece di collaborare. E allora decido di piantarla con questa conversazione idiota, la saluto ed esco a prendere una boccata d’aria. Tanto di scrivere oggi non se ne parla. Di studiare ancora meno. Troppo caldo. Troppi giramenti.

Mi accoglie l’aria pesante di Centro Avana in un caldo pomeriggio di giugno. Odori e rumori di gas di scarico da carrette di auto che percorrono strade male asfaltate. Aromi di pollo fritto e maiale arrosto da una bancarella all’angolo.

Merda di città, penso.

Passa una mulatta dal sedere alto e le gambe lunghe. Non giovane ma bella, d’una bellezza quasi materna che ti dà conforto. Muove quel sedere stupendo a ritmo di musica. Una musica che sento nell’aria. Forse la immagino. Forse c’è davvero. Non lo so.

Merda di città, però che donne all’Avana. Le più belle di Cuba.

Che poi so un cazzo io se sono davvero le più belle.

Non mi sono mai mosso da qua.

Mi fermo e osservo quel rapido scambiare dei glutei.

Subito tento un approccio. Non sia mai detto che non ci provi.

“Mulatta, non so dove vai ma di sicuro è per la mia strada” dico.

Lei sorride. Sorridono sempre le donne avanere.

Mi piacciono proprio per questo.

“Non credo” risponde.

Il suo sorriso però mi invita a continuare.

“Mi chiamo Alejandro. E tu?”.

“Manuela, però vedi di lasciarmi tranquilla”.

“Qualcuno potrebbe darti fastidio”.

“Lo stai già facendo tu”.

“Voglio soltanto farti compagnia, magari parlare un po’”.

“E di cosa dovremmo parlare? Non ti conosco”.

“Posso dirti tutto di me. Studio spagnolo e scrivo racconti, suono la batteria, adesso sto scrivendo un romanzo che parla di donne. Vuoi sapere altro?”.

“Fai tutto tu, ragazzo. Io sono soltanto Manuela e vivo in Centro Avana. Adesso sto andando da mia figlia”.

“Però sei una donna stupenda”.

Lei sorride. Le piacciono i piropos, come a tutte le donne avanere. Le piace essere ammirata, guardata, corteggiata.

“Se sei uno scrittore perché non stai lavorando al tuo libro?”.

“Perché devo vivere le cose che scrivo, altrimenti non sono capace”.

“Questa poi… mi sa che sei soltanto un gran bugiardo”.

Però la mulatta continua a parlare. Mi ascolta. Ci raccontiamo un po’ di cose, frammenti di vita quotidiana tra vento tropicale e sole cocente, umori di miseria e ricordi del passato.

Arriviamo sul Malecón senza accorgercene.

“Adesso dove andiamo?” domando.

“Ci salutiamo. Io vado a cena da mia figlia”.

“Resta ancora un poco con me. Ti prego”.

Sarà il tono come lo dico. Saranno i miei occhi che esprimono tutto il bisogno di non restare solo. Non stasera. Non con il sole che sta calando sul Malecón e questa città che attende solo di crollare. E l’italiano che non si fa sentire. E la batteria rotta. E Juliana che parla come una stronza. Non stasera che non ho nessuno dove rifugiare il mio sconforto. Lei pare capire. Mi prende per mano e ci sediamo sul muro in granito affacciati a guardare l’oceano. Pescatori affaccendati ritirano reti e lenze. Ragazzini corrono tra gli schizzi del salmastro. Attorno a noi soltanto mare e vento tropicale. In lontananza Miami.

“Potrei essere tua madre” dice Manuela.

“Ma non lo sei” rispondo.

Sorridiamo. È bella in fondo L’Avana se la guardi negli occhi di una donna. Quando le mie labbra toccano le sue mi accorgo che il sole è sprofondato all’orizzonte e i palazzi screpolati riflettono il ricordo d’un contorno giallastro.

 

Alejandro Torreguitart Ruiz

 

 

Note:

camajan è lo straniero che è esperto delle cose cubane

piropos sono i complimenti lanciati verso le ragazze


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