Tutti i tiranni debbono sempre attendersi, prima o poi, che qualcuno attenti alla loro vita. Non fece certo eccezione Mussolini che dovette subire diversi attentati o tentativi di attentato. Alcuni si conclusero con spari o bombe diretti alla sua persona, altri furono solo programmati e sventati prima. I fatti avvennero, in particolare, nei primi anni della dittatura, quando il regime non era ancora ben consolidato. Gli attentati alla vita del duce fornirono il pretesto per promulgare, via via, una serie di decreti sempre più rigorosi in materia di pubblica sicurezza.
Il 4 novembre 1925 l’ex deputato socialista Tito Zaniboni ed il generale Luigi Capello vennero arrestati con l’esplicita accusa di aver tramato l’uccisione di Benito Mussolini. In realtà furono spinti da agenti provocatori fascisti, tra i quali anche un ex-ministro fascista. Ricostruiamo i fatti. Lo Zaniboni, secondo il piano, avrebbe dovuto procurarsi un fucile di precisione e trovare alloggio in un hotel situato di fronte a Palazzo Chigi, da dove il duce avrebbe dovuto parlare, in occasione dell’anniversario della vittoria. La polizia fascista, debitamente informata intervenne subito, rinvenne il fucile nella camera dello Zaniboni e lo arrestò prima che potesse utilizzarlo. Processato, venne condannato a 30 anni di reclusione e destinato al confino nell’isola di Ponza, dove c’erano già diversi antifascisti e dove ne sarebbero arrivati molti altri. Il Governo sfruttò subito l’occasione per sopprimere il giornale socialista La Giustizia e per disperdere i socialisti del martire Giacomo Matteotti, ucciso da una banda fascista il 10 giugno 1924. Mussolini ne approfittò subito per sviluppare una offensiva nei confronti della massoneria, con la quale erano in contatto sia lo Zaniboni sia il Capello. Si trattò, in sostanza, di un tentativo di attentato non portato a termine, e stimolato ad arte dagli stessi fascisti. Ma l’incidente servì a Mussolini per emanare, in tempi brevi, una serie di decreti eccezionali con i quali si provvide, tra l’altro, a sopprimere tutti i partiti ed i giornali antinazionalisti. Con uno di questi decreti, venne istituito il Tribunale speciale per la Difesa dello Stato. La Camera dei deputati approvò addirittura un decreto che privava dei loro seggi tutti gli aventiniani! Il Tribunale speciale poteva prendere decisioni aventi la forza di leggi marziali, contro le quali non si poteva ricorrere. In 720 udienze condannò 5.155 persone, comminando 28.115 anni di reclusione, 29 condanne a morte e 7 all’ergastolo. I condannati venivano spesso inviati al confino negli isolotti di Ustica, Lipari, Ponza e Ventotene, allora difficilmente raggiungibili. Ma ritorniamo allo Zaniboni. Subito dopo il 25 luglio ’43 dov’era confinato assieme a Pietro Nenni nell’isola di Ponza, vide Mussolini, a sua volta imprigionato in quell’isola, prima che il duce fosse trasferito a Campo Imperatore.
Il secondo attentato a Mussolini venne eseguito a Roma, nel 1926, da tale Violet Gibson, figlia del Lord Cancelliere d’Irlanda. La signora, scesa appositamente da Dublino, gli sparò contro alcuni colpi di pistola, ferendolo leggermente al naso. Si appurò che si trattava di una persona squilibrata, paranoica cronica da molti anni. A causa della cittadinanza straniera, dell’infermità mentale e della parentela, venne solo rinchiusa in una clinica psichiatrica, dalla quale uscì dopo sette mesi perché graziata da Mussolini stesso. Fu poi estradata nel suo paese d’origine ed affidata ad una clinica irlandese. Il perdono di Mussolini derivò dalla volontà di non inimicarsi il potente padre, Lord cancelliere d’Irlanda.
Sempre nel 1926, precisamente l’11 settembre, l’anarchico Gino Lucetti, perseguitato dai fascisti di Carrara che lo costrinsero ad emigrare all’estero in diversi Paesi, per ultimo in Francia, tornò in Italia con l’esplicito desiderio di attentare alla vita di Mussolini. Preso contatto con altri anarchici, riuscì a lanciare un ordigno esplosivo contro l’auto nella quale era trasportato il duce. L’ordigno colpì l’auto, ma poi rimbalzò in strada, causando serie ferite a ben otto persone. Processato, fu condannato a 30 anni di reclusione. Scontò la detenzione in carceri di diverse località, finché venne trasferito all’isola di Santo Stefano. Venne liberato dagli Alleati nel settembre 1943.
Il 31 ottobre 1926 si ebbe l’attentato più conosciuto. Nella città di Bologna, mentre stava transitando l’auto scoperta che trasportava Mussolini, venuto per commemorare la marcia su Roma, un giovane di 15 anni, tale Anteo Zamboni, figlio di una famiglia anarchica, esplose alcuni colpi di pistola che sfiorarono il duce, ma ferirono alcuni presenti. Subito bloccato da camicie nere locali, venne pubblicamente linciato: accoltellato più volte ed infine ucciso con un colpo di pistola dalla polizia fascista. Alcuni suoi parenti, ritenuti mandanti, furono condannati con pene variabili tra i 30 ed i 5 anni. L’episodio non fu mai chiarito a sufficienza, anche perché sembra fossero coinvolti alcuni fascisti locali ostili al duce, facenti capo ad Arpinati.
Bisogna attendere il 1931 perché un anarchico, tale Michele Schirru, cerchi di uccidere Mussolini. Lo Schirru, naturalizzato cittadino USA, era un soggetto semplice ed ingenuo. Tornato in Italia da Parigi, ove aveva preso contatti con gli antifascisti italiani, si spostò a Roma perché, da tempo, coltivava un’idea fissa: quella di uccidere Mussolini. Allo scopo cercò di studiare i tragitti di Mussolini a Roma. La cosa non gli riuscì, anche perché, ingenuamente, dichiarò ad altri la sua intenzione. Subito arrestato, in carcere tentò inutilmente il suicidio. Processato dal Tribunale speciale, fu condannato a morte. All’atto della fucilazione, gridò: “Viva l’anarchia!”.
L’ultimo tentativo reso noto di uccidere Mussolini risale al 1932, ed è posto in essere da un altro anarchico, Angelo Pellegrini Sbardellotto, emigrato giovanissimo in diversi paesi europei. In questo periodo maturò l’adesione all’anarchia ed espresse ripetutamente la sua intenzione di uccidere Mussolini. Per tale scopo, cercò più volte di avvicinarlo, senza mai riuscirvi. Nel corso dell’ultimo tentativo venne fermato casualmente da un agente di polizia. Trovato in possesso di armi, fu subito processato e condannato a morte dal Tribunale speciale, dopo aver ammesso di essere venuto in Italia per uccidere Mussolini.
Non si hanno versioni ufficiali di altri attentati. Sembra che alcuni vennero tenuti nascosti per ragioni di opportunità politica. Insomma, per un motivo o per un altro, gli attentati contro Mussolini fallirono. Per sua fortuna, e per sfortuna degli italiani.
Sergio Caivano