Esemplato su un canto popolare napoletano del XVI secolo (abruzzese secondo altri e siciliano per altri ancora), nasce nel 1939 la prima canzonetta di “fronda” nei confronti del regime fascista.
Di Maramao… perché sei morto è autore il prolificissimo Mario Panzeri (Milano, 1911-1991) che sarà accusato di avere alluso alla recente dipartita di uno dei big del regime, quel Costanzo Ciano (1876-1939), il cui monumento funebre, in stile assiro-babilonese, incombe, ancora adesso, su Livorno e i suoi abitanti. Qualche settimana dopo la pubblicazione del disco, nella città toscana, si iniziano i lavori per una statua dedicata appunto a Costanzo Ciano, politico e gerarca fascista morto da poco: nottetempo alcuni buontemponi, di cui sembra essere sempre ben fornita la città labronica, lasciano sul basamento del monumento alcuni fogli con i versi di questa canzone (Maramao perché sei morto?/ Pane e vin non ti bastava,/ l’insalata era nell’orto/ e una casa avevi tu), ritenuti offensivi verso un eroe in camicia nera. Quindi Panzeri è convocato d’urgenza da Criscuolo, il responsabile della censura del regime, a cui, con qualche difficoltà, deve dimostrare che il testo della canzone era stato scritto prima della morte del ras labronico, già nobile per meriti di guerra e ministro delle Poste. Ormai, però, per l’opinione pubblica Maramao perché sei morto è considerata una delle cosiddette canzoni della fronda, in cui in maniera non esplicita e con allusioni più o meno azzeccate si irride ad alcune figure di primo piano del regime.
A portare al successo la triste storia in versione swing di Maramao, aristogatto del 1939, saranno le sorelle olandesi, ex acrobate, Sandra, Giuditta e Caterinetta Leschan, che italianizzeranno il cognome in Lescano. Un trio destinato a fare epoca: bruttine anzichenò, le sorelline debbono il loro successo non certo all’aspetto fisico, ma a un formidabile senso del ritmo e all’accento esotico, a metà tra il mitteleuropeo e l’inglese. La radio, altra grande passione italica di quegli anni, farà il resto: moltiplicherà il successo di questa favoletta musicata portandola in quasi due milioni di famiglie, tanti gli apparecchi radio in Italia alla fine di quel decennio.
L’anno successivo la situazione si ripete. Questa volta con un brano scritto con Nino Rastelli e musicato col contributo del grandissimo fisarmonicista jazzista Gorni Kramer. Titolo, Pippo non lo sa: in questo caso il protagonista della canzoncina che quando passa fa rider tutta la città, viene identificato dalla censura fascista con il gerarca Achille Starace (1889-1945), nientemeno che il segretario, sia pure nella sua fase discendente, del Partito nazionale fascista. Pippo non lo sa diviene, comunque, un successo. Panzeri smentisce anche in questa occasione, ma la sua reputazione, agli occhi del regime fascista, è ormai compromessa. E così, quando nel 1943 Panzeri scriverà sempre con Rastelli il testo per Il tamburo della banda d’Affori, una marcetta di Nino Ravasini, la cattiva fama dei due brani precedenti gli procurerà ancora delle difficoltà: la canzone verrà infatti messa sotto accusa, in particolare per versi in cui si parla del tamburo principale della banda d’Affori, / che comanda 550 pifferi. I componenti della Camera dei fasci e delle corporazioni erano appunto 550 e quanto al tamburo principale, parve un’allusione neppure troppo nascosta, a Mussolini.
A onor del vero bisogna aggiungere che Panzeri continuò, anche in seguito, a sostenere che le sue erano allusioni involontarie e casuali, ma è anche vero che, nel dopoguerra, nei suoi testi continuarono a essere riscontrati riferimenti velati e ironici alla realtà politica italiana (per esempio, in Papaveri e papere e Casetta in Canadà). E pensare che, in fondo, erano solo canzonette.
Luciano Luciani