Kay Sage era introversa, schiva, nonostante l’altezza, i sottili capelli biondi, la pelle marmorea rendessero impossibile non notarla in società. Katherine Linn Sage nasce il 25 giugno 1898, ad Albany (Stato di New York), da genitori non perfettamente assortiti: Henry Manning Dage, senatore dello Stato di New York, fervente conservatore e facoltoso industriale, e Anna Wheeler, anticonformista e licenziosa, fisico seducente e fragilissima psiche. Key è la seconda figlia, cresce tra gli agi e le nevrosi materne, scandite dalle lunghe traversate in transatlantico per recarsi annualmente a Parigi a rinnovare il guardaroba o in Italia, a Rapallo (Genova) per le vacanze estive. Durante i lunghi tragitti oltreoceano, seduta sul ponte della nave disegna per ore, fissando l’infinita distesa blu del mare avvolto nella bruma.
Nel 1900 i suoi genitori divorziano, uno scandalo nell’America puritana che segna l’artista mentre segue la madre sempre più instabile. Nel 1914 si iscrive alla Corcoran School of Art & Design di Washington. Qualche anno dopo, scoperta la sua relazione con un uomo sposato, il padre invia la figlia dalla madre a Rapallo ma alla villa a strapiombo sul mare e alla tirannia materna preferisce lo studio e nel 1920 si trasferisce a Roma, inizialmente nei pressi della stazione Termini, poi acquista un grande appartamento nel vetusto palazzo Rospigliosi, nella piazza del Quirinale. Segue corsi alla British Academy e alla Scuola libera delle belle arti e incontra un anziano pittore, Onorato Carlandi, fondatore del gruppo I Venticinque della campagna romana. Sage unica donna, giovanissima rispetto agli altri artisti del gruppo, si sveglia all’alba e con tele e pennelli raggiunge la comitiva che si reca in treno nelle campagne romane. Ancora una volta il suo sguardo si sperde in una nuova ampiezza, le distese dei campi, le rovine, i cipressi delle colline romane.
«[Carlandi] non mi ha insegnato a dipingere. Non ci ha neppure provato. Ma mi ha insegnato a pensare come non avevo mai pensato prima». Eppure, osservando le opere di entrambi dal punto di vista della composizione formale, alcuni suoi dipinti possono ricordare quelli di Carlandi ma l’ambiente e la resa pittorica ne sono nettamente distanti. Se talune forme richiamano i cipressi, nei quadri dell’artista americana sembra che un’inesorabile distesa di ghiaccio abbia ricoperto le campagne romane, trasformandole in vestigia di una civiltà ignota, arcaica quanto futura. Interiorizzati, quei ricordi di giorni lontani si trovano adesso raggelati nel tempo, sotto una coltre di acciaio che ne ha metallizzato i colori, smussato le dolci curvature rendendo le colline rocce taglianti, sconosciuti orizzonti su panorami onirici, luoghi di memoria silente, irrimediabilmente perduti.
Trascorre quindici anni tra Roma e Rapallo, sposa nel 1925 il principe Ranieri di San Faustino dopo un lungo fidanzamento propedeutico per acquisire un’erudizione da vera nobile. Durante il matrimonio l’artista soffre una grande solitudine, lontana da tele e pennelli. Si ritira dall’accidia della società romana, scrivendo e illustrando un libro per bambini dal metaforico titolo Piove in giardino. Trasferitasi a Parigi, divorzia nel 1935 e da allora si concentra solamente sulla pittura. Ha una prima personale a Milano alla Galleria il Milione, ma è la capitale francese a cambiare il suo destino. Una sua opera In seguito (1937), esposta al Salon des Suridépendants, attira l’attenzione di tre illustri visitatori: Ancré Breton, Yves Tanguy e Nicolas Calas. Breton riconosce immediatamente nell’atmosfera inquietante della tela lo spirito surrealista, chiede di conoscere l’autore convinto che si tratti di un uomo. La sorpresa è grande quando il trio si ritrova in un lussuoso palazzo dell’Île Saint-Louis, nel cuore di Parigi, invitati da una pittrice americana, che alcuni chiamano ancora principessa per via del suo ex matrimonio. Se Breton non amerà Kay Sage tacciandola di essere borghese, Yves Tanguy ne resta affascinato. La loro relazione inizia tra condivisione dell’amore per De Chirico e le fughe clandestine nel Sud della Francia, lontani dalla moglie del pittore francese. Sage raggiunge i surrealisti a Chemilieu nel 1939, partecipa a giochi collettivi, discussioni e dibattiti riguardanti nuove tecniche di pittura.
La seconda guerra mondiale esplode e attraverso il Ministro dei beni culturali Kay organizza una serie di mostre dei surrealisti a New York aiutando gli artisti a fuggire dal nazismo. Tra loro Tanguy, Breton, Jacqueline Lamba, André Masson e molti altri che sosterrà finanziariamente una volta arrivati negli stati Uniti. L’amore per Tanguy diventa ufficiale, si sposano nel 1940 e si trasferiscono a Woodbury nel Connecticut, in una grande dimora chiamata Town Farm dove dalla vasta terrazza in pietra si vede uno stagno fatto scavare come indicato da un disegno di Tanguy. Inizia un dialogo silenzioso tra due artisti, un pittore rinomato e una pittrice finalmente libera da drappi e impalcature che l’hanno tenuta lontana dalla pittura. Eppure drappeggi e sovrastrutture continuano a tormentarla, comparendo come spettri nei suoi quadri, ergendosi a impervie rovine dell’Io, fendendo estesi orizzonti come recinti impossibili da valicare, rafforzati da radici inestirpabili. In diverse opere si riconoscono dei telai ammassati che sembrano quadri in attesa, o anche tele bianche come quelle appese ai pilastri come in No passing (1954).
Nel 1955, scrive la sua autobiografia China Eggs (uova di porcellana). L’uovo elemento perfetto, fragilissimo involucro di vita, simbolo di fertilità, appare spesso nelle sue pitture. L’uovo era per lei un oggetto legato all’infanzia, da bambina rubava le uova di uccelli rari che il padre collezionava in scatole dal fondo di sabbia bianca. Entrata nel surrealismo Kay espone in importanti collettive: “31 Women all’Art of This Century”, la galleria-museo di Paggy Guggenheim a New York, “Le Surréalisme en 1947” alla Gallerie Maeght di Parigi, ancora personali a New York presso le gallerie di Pierre Matisse, Julien Levy, Catherine Viviano. Si impose di non esporre mai a fianco di Tanguy, divenuto tra i surrealisti più noti negli Stati Uniti, fino al 1954 quando in una mostra al Wadsworth Atheneum di Hartford, nel Connecticut, si presenta col marito. Un ultimo evento insieme; Yves Tanguy muore improvvisamente nel gennaio 1955 per un’emorragia celebrale. Lei sprofonda nella depressione più assoluta. Scrive poemi e testi di prosa: The More I Wonder, Demain Monsieur Silbert; Faut dire c’qui est; Mordicus, illustrato da Dubuffet. Intanto i suoi quadri gridano angoscia e solitudine: Tomorrow is Never è il primo creato dopo la morte del consorte.
Nel 1956 la tela Le passage mostra per la prima volta dopo molti anni una figura umana, si riconosce l’artista adolescente, la pelle diafana, i capelli dorati.
Nei suoi ultimi anni Kay Sage si occupa meticolosamente dell’inventario dell’opera di Tanguy, un lavoro che la impegnerà per molto tempo. Contemporaneamente la sua vista si appanna e non permette più di dipingere, crea acquarelli e collage con ciottoli, legno e oggetti di piccolo formato. Portato a termine il catalogo ragionato del marito, ordinati i lasciti dei quadri di entrambi, i libri, gli oggetti, decide di abbandonare la sua pericolante torre d’avorio, si uccide l’8 gennaio del 1963 sparandosi al cuore, fermando il ritmo del suo tempo, ma preservandolo eternamente sospeso nel mistero della sua pittura.
M.P.F.