Il linguaggio della poesia è il più alto, è sintesi di pensiero, risultato di un filtraggio – che comunque viene spontaneo all’orecchio attraverso una serie di scarti – fino ad arrivare alla parola che sentiamo unica, pulita, ed altra non serve.
La poesia – si sa e si ripete – non ha molti lettori, proprio per questo linguaggio talora troppo simbolico, volutamente criptico.
È come se la comprensione di chi legge non fosse considerata, così finiscono spesso per prevalere il suono, la musicalità, il registro, affidati alla piena libertà interpretativa ed emotiva di ciascuno, con le sensazioni ed immagini che vi si associano. Del resto la poesia, una volta pubblicata, si dice che non è più nostra, ma di chi legge.
Tuttavia le chiavi di lettura spesso sono difficili da trovare anche per chi ha esperienza personale con il linguaggio della poesia. E questo spaventa e allontana gli altri.
Questa non è una digressione e non mi allontana dalla poesia di Dainotti.
Infatti le sue poesie controcorrente, come lui le ha definite, mi hanno portato un po’ di sorriso e le immagini sono rimaste, mi accompagnano unendosi al quotidiano.
Scorrono quadri realizzati a parole: vedi persone e ambienti, conosci stati emotivi, amori, abbandoni, persone. Talora ti viene in mente il chioccolare della fontana di Palazzeschi, talora un ambiente di Gozzano, altre volte l’atmosfera familiare di Saba.
Trasversale è l’amore, ma non astratto o caricato di luoghi comuni ormai vuoti, bensì fissato in immagini concrete: lui che va da lei che ama i libri ed abita in una casa umile, e lega il cavallo “alla grata di ferro del giardino” ci fa fare un balzo in un passato lontano, e comunica calore familiare. Lui che chiede della sua amata, in un hotel di Napoli, al “portiere gallonato”, come se tutta Napoli dovesse conoscere il suo amore; il bambino che guarda timido e intimorito due che si amano sul prato; le pulsioni di un ragazzo di fronte alla donna che ha “un’aria vissuta, che intriga”.
C’è il décolleté di donna “morbida nel guardare, lenta a dire”, il vento sul vaporetto che agita un cappello, amici alticci che guidano, delicate stampe dell’ottocento che sfilano “in un viale alberato di Milano” tra edicole che fioriscono di giornali e musica d’estate: “Le signore sfilavano eleganti/ con ombrellini al braccio”. Immagini che rimandano ai quadri degli impressionisti.
Si trova il parlare fitto fitto d’amore, a voce bassa, tra ragazzine, un cercarsi furtivo tra gridolini e piacere, una abbracciarsi veloce e traditore dietro le cabine, una fisicità che diventa musica: “Suono sulla tastiera del tuo corpo/ le musiche più belle e più dolenti, malinconiche, ardenti,/ prima e dopo l’amore”. La fisicità è trattata con delicatezza, con una voglia di giocare, di sorridere intorno a quelle che sono le pulsioni più naturali: “Il ragazzino stringe, tra le sue,/ le gambe della bella sconosciuta/ ...Il ragazzino pensa: “E se si sveglia?” Fanno sorridere lo studentello che pensa sia amore ciò che è stato solo un momento di sesso, l’uomo che cammina zitto accanto ad una donna, ma senza un gesto di gentilezza che forse non gli appartiene.
Il sentimento d’amore raggiunge il massimo della bellezza nel recupero di figure familiari, nella sofferenza di chi vede morire una cavallina e ne conserva una ciocca di peli; nel pianto infantile e tenero della madre che non sa che cosa indossare; nell’angoscia di chi ha perso un figlio nel fiume e trova finalmente parole di conforto; nelle braccia alzate di un padre sul mare – con gli occhi dilatati dall’orrore – a tenere in vita il figlio fuori dalla furia delle onde per un attimo ancora.
Passa la vita nei versi di Dainotti, ogni lirica è un flash che fissa immagini e ricordi, sapientemente liberandoli dal peso del dolore e recuperandone la unicità.
Marisa Cecchetti
Fabio Dainotti, Poesie controcorrente e racconti in versi
Biblioteca dei Leoni, 2020, pp. 72, € 10,00