L’uomo deve non tanto costruire la sua vita, quanto proseguire la sua incompiuta nascita; deve nascere via via lungo la propria esistenza, ma non in solitudine, bensì con la responsabilità di vedere e di essere visto, di giudicare e di essere giudicato, di dover edificare un mondo in cui possa venir racchiuso questo essere prematuramente nato.
Maria Zambano
Luciano Manicardi
Fragilità
Qiqajon, pp. 90, € 10,00
Credo che la più grande lezione di umanità oggi io l’abbia avuta dall’uomo di Neanderthal.
Da una scoperta negli anni cinquanta in Iraq, avvenuta ad opera dell’archeologo Ralph Solecki, leggevo di uno scheletro di uomo della paleoantropologia, appartenente ad un uomo gravemente ferito, e che aveva potuto sopravvivere con la sua menomazione grazie alla collaborazione, all’aiuto, del suo gruppo di appartenenza. «Il fragile, con la sua sola esistenza, mi chiama alla responsabilità. E se è vero che le nostre capacità, per essere messe in funzione, abbisognano di essere svegliate, ecco che il fragile svolge questa funzione di svegliarci alla responsabilità: ci crea come responsabili e ci rende più umani».
Questa è una lezione che nel saggio Fragilità, Luciano Manicardi, indica come la possibilità ed opportunità che l’essere umano possa avere, e cogliere, per definirsi essere umano, nel rapporto con l’altro. «Chi è fragile, come il neonato, come la persona sofferente o disabile, o vittima del male inflitto dagli umani, è appello alla responabilità, a prendersere cura. Il fragile chiama, senza parole, all’azione. Innanzitutto esso invita alla prossimità, a farsi prossimo. Il fragile attiva quello che è stato chiamato “principio responsabilità”, principio perché si esprime come appello, anzi, imperativo, da niente preceduto. Imperativo che ci raggiunge in forma di sentimento per cui la fragilità del fragile risuona in noi, ci colpisce, ci riguarda e non può lasciarci indifferenti. Questo imperativo non è riducibile a un sentimento compassionevole, ma porta in sé l’istanza della giustizia e della misericordia: induce a portare aiuto, a farsi prossimo perché sentiamo di essere di fronte a una situazione che è ma che non dovrebbe essere la nostra».
Una lettura in cui non si esalta l’essere fragile, non viene ‘augurato’ d’essere fragili ma viene evidenziata la possibilità del camminare nella propria vita con la possibilità di inciampare, ed essere ANTIFRAGILE (neologismo di Nassim Nicholas Taleb) indica la capacià di migliorare e trarre vantaggi dalle situazioni di caos, disordine, instabilità, variabilità... ciò che è resiliente, aggiunge, resiste agli shock e rimane identico a se stesso; l’antifragile migliora. Una strenna per ogni giorno dell’anno questo libro.
In copertina la frammentazione o la frantumazione di un pavimento, di un appoggio alla cura: Scultura di Alberto Burri.
Barbarah Guglielmana