Quotidianamente, come se fossimo in guerra, arrivano notizie (bollettini di guerra?) di aggressioni, di oppressi, di morti uccisi da ben altri nemici: follia, odio, amore malato, violenza cieca, virus coronato, freddo e fame.
Gli omicidi di Willy Monteiro e di don Roberto Malgesini, che da pochi giorni hanno macchiato di sangue le nostre strade, purtroppo non sono stati né gli ultimi né i primi.
Il figlio uccide la madre ed un padre il giovanissimo figlio, neonati nei cassonetti.
Ormai pare che nessuno più si scandalizzi. La violenza esplode ovunque.
Branco di aggressori che si avventa contro giovani soli e indifesi fino a ucciderli.
Storie che in molti casi sembrano essere soltanto un terribile scherzo del destino; un banale diverbio, una parola di troppo o, come nel caso di Willy, un tentativo di correre in aiuto che sfociano in brutali assassini.
È dell’altro giorno la notizia del violinista venezuelano di 25 anni, picchiato selvaggiamente nella notte di domenica 20 settembre 2020, in via Po a Torino. Si era appena esibito in un locale del centro cittadino.
A raccontare tutto è stata la vittima del pestaggio, Raul Rao. “Hai una sigaretta? Hai una sigaretta? Dico a te”, così gli si è rivolto un ragazzo tra i 20 e i 25 anni che faceva parte di una comitiva di una quindicina di persone. Il giovane gli ha però risposto di non averne, ma l’altro ha continuato a seguirlo ripetendo la domanda tre volte, ma Raul ha continuato a camminare. L’altro giovane lo segue, inizia ad urlare e gli dà un calcio nella schiena. Raul cade a terra. Cerca di proteggersi con le mani e tenta di rialzarsi, ma viene afferrato per la maglia e sbattuto a terra. Altre botte.
Nel racconto fatto alla polizia e riportato dalla stampa si legge: “Ad un certo punto, non so neanche io come sono riuscito a divincolarmi e a fuggire. Ho telefonato a un ragazzo che conosco, che vive proprio in via Po. Gli ho chiesto di ospitarmi, di nascondermi. Temevo di rincontrare i miei aggressori. Non volevo essere picchiato di nuovo. Non ho chiamato subito la polizia, perché al mio paese i poliziotti non sempre sono d’aiuto”.
Raul corre. Il branco gli sta dietro. E quando prende il cellulare per contattare il suo compagno di serate, un ragazzo gli urla: “Bastardo, stai chiamando gli sbirri. Ora ti ammazziamo”.
Finalmente Raul riesce a raggiungere la casa dell’amico. Si chiude dentro. E, solo quando è sicuro di non essere stato seguito, va all’ospedale Mauriziano.
Un fatto inquietante che suscita sgomento.
Il nostro non è un tempo di pace.
Siamo in guerra, una guerra vestita di pace, una pace che non c’è perché in questa nostra terra
scorre sangue
con ritmo di cosmo
a soccombere l’umano cecato
falsi orridi profitti
...non muta la vita l’oscura ignoranza
lutto immobile ci veste...
Giuseppina Rando