È morto la settimana scorsa il regista Gianni Serra. Il suo nome è oggi forse sconosciuto ai più. Si era del resto da tempo ritirato dall'attività cinematografica. Ma dagli anni Sessanta agli anni Ottanta era stato autore per la Rai, di film, di inchieste e di sceneggiati televisivi - le “serie” di un tempo, di solito tratte da classici della letteratura.
Ma la fama di Gianni Serra è soprattutto legata a un film, un vero film “maledetto”, che fu presentato al festival di Venezia nell’80, dove fece scandalo, divise nettamente la critica: ci fu chi ne scrisse benissimo, e chi lo stroncò. Al festival non vinse nessun premio, ma Umberto Eco, che era uno dei componenti della giuria, dichiarò che per parte sua gli avrebbe assegnato il Leone d’Oro. E Carlo Lizzani, all’epoca direttore del festival, continuò a difendere e ad accompagnare il film quando fu ripresentato in rassegne o in altri festival cinematografici.
Il film si intitola: La ragazza di via Millelire e può oggi essere visto su Youtube in una copia purtroppo non in buona definizione, ma che basta almeno a dare un’idea del film.
Ora, perché il film suscitò tante polemiche a tal punto che contribuì a stroncare la carriera del suo autore, che non riuscì più a realizzare un altro film?
Ambientato in un quartiere periferico di Torino – il quartiere di Mirafiori Sud, abitato perlopiù da immigrati dal sud d'Italia – racconta con crudezza il degrado delle condizioni di vita nel quartiere: un “quartiere dormitorio”, dominato dalle sagome squadrate dei palazzoni popolari: così diverso dal resto della città da assumere, nel film di Serra, l’aspetto di un paesaggio lunare, lugubre, ma anche quasi fantastico, per le luci, le forme e i colori che a momenti lo attraversano.
Il film non è tradizionalmente realistico. Serra esaspera il malessere degli abitanti del quartiere, caratterizzando ognuno attraverso un tic, una deformità fisica, una evidente patologia comportamentale. Se nelle scene di gruppo si sprigiona tra loro una vitalità quasi barbarica, che ha aspetti anche libertari, in cui sembrano potersi esprimere realtà come il travestitismo e l’omosessualità, più spesso predominano comportamenti tradizionali da piccola criminalità: la divisione del territorio in bande, lo spaccio di eroina, lo sfruttamento della prostituzione.
Il personaggio principale del film, una ragazzina di 13 anni, incarna le contraddizioni della vita del quartiere. Vitale, ribelle, sensuale, sboccata, è una figura resa struggente da un senso di predestinazione che sembra incombere su di lei. Si rivela in particolare attraverso un episodio: un giorno si fa incidere un neo sopra una guancia. Apprende soltanto in seguito che un neo così collocato, secondo i codici della malavita, contrassegna le prostitute. E come tale sarà trattata dai ragazzi del quartiere. Il suo stesso innamorato – che la ritiene “una poco di buono” – organizzerà contro di lei uno stupro di gruppo.
Abbandonata a se stessa dal padre e dalla famiglia, sballottata tra comunità di recupero rette da preti, da suore o da laici, ma nelle quali lei comunque non riesce ad adattarsi e da cui fugge, sembra alla fine trovare un rifugio in un centro di assistenza che il Comune ha insediato nel quartiere: un centro però che, retto da tre o quattro persone, con scarsi mezzi a loro disposizione, appare in quel contesto come una fragile navicella in un mare in tempesta.
Diego Novelli, allora sindaco di Torino, che aveva commissionato il film, lo definì “un cuneo duro, aspro, pesante, terribile, ma reale” nella vita di quel quartiere. E certo, una parte dello sfavore che il film raccolse, fu anche dovuto al disagio di chi si vide sbandierare realtà che forse avrebbe preferito ignorare.
Tuttavia, non soltanto per il suo coraggio e le sue virtù civiche, ma anche per la fantasia visiva di cui il film è dotato, per l’incisività e l’espressività delle sue immagini, io mi auguro che La ragazza di via Millelire possa ritrovare quel posto in primo piano nella storia del cinema italiano che, a mio parere, gli spetta.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 19 settembre 2020
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