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Il giudice Luigi Tosti denuncia i ministri Clemente Mastella e Roberto Castelli per discriminazione religiosa
31 Gennaio 2007
 

È un vero e proprio reato quello di impormi la presenza del crocifisso nel luogo dove lavoro e di vietarmi, per bieche motivazioni di discriminazione religiosa, di esporre la menorà ebraica a fianco del simbolo dei cattolici. È per questo che, dopo aver pazientato per due anni, ho formalizzato una denuncia penale contro i Ministri di Giustizia Clemente Mastella e Roberto Castelli.

È grottesco, infatti, che l’autorità giudiziaria si sia attivata contro la vittima delle discriminazioni religiose anziché contro gli autori, cioè i Ministri di Giustizia, i quali ben avrebbero potuto autorizzarmi ad esporre la menorà ebraica a fianco del crocifisso cattolico, tanto più che essi sostengono che le supposte radici culturali dell’Europa sarebbero quelle giudaico-cristiane. Sulla mia vicenda è intervenuto anche l’On.le Maurizio Turco che ha presentato al Ministro Mastella l’interpellanza parlamentare n. 130/2006 con la quale gli ha chiesto di «giustificare per quali validi motivi – che, secondo l’interrogante, non siano quelli di discriminazione razziale, odio e disprezzo degli ebrei e della religione ebraica – il Ministero interrogato ha negato al dott. Tosti Luigi di esporre a fianco del crocifisso la menorah, usufruendo così degli stessi diritti religiosi e della stessa dignità che l’Amministrazione fascista Italiana accordò e che quella Repubblicana seguita ad accordare ai cattolici».

 

Luigi Tosti

 

Di seguito viene riportato l'atto di denuncia presentato da L. Tosti

 

::::::::::::::::::::::::


ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DELL'AQUILA
ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI ROMA


ATTO DI DENUNCIA PENALE


Io sottoscritto TOSTI LUIGI, nato a Cingoli il 3 agosto 1948, residente a Rimini, Via Bastioni Orientali n. 38, magistrato presso il Tribunale di Camerino, espongo, denuncio e mi querelo per quanto segue.


FATTO

Nell'ottobre del 2003 un paio di avvocati del foro di Camerino, mentre mi accingevo ad iniziare la trattazione di un'udienza civile, si lamentavano dell'improvvisa comparsa di un vistoso crocifisso che, a loro giudizio, era stato apposto per reazione contro il provvedimento col quale il giudice dedl Tribunale dell'Aquila dott. Mario Montanaro, alcuni giorni prima, aveva ordinato la rimozione dei crocifissi dalle scuole di Ofena. Tenuto conto delle deliranti reazioni che l'ordinanza del dott. Montanaro aveva effettivamente innescato, anche ad alti livelli istituzionali, condividevo appieno queste lamentele e, pertanto, staccavo dalla parete il crocifisso e lo adagiavo sul carrello dei fascicoli.

Il Ministro di Giustizia On.le Roberto Castelli, appresa la notizia dalla Stampa, disponeva un'ispezione per valutare se sussistevano gli estremi per trasferirmi d'ufficio da Camerino e per promuovere un'azione disciplinare. Ero pertanto costretto a recarmi a Roma, dove venivo messo sotto torchio da un ispettore ministeriale che mi inquisiva per conoscere i minimi particolari relativi al distacco "sacrilego" del crocifisso dalla parete. Mi si chiedeva persino di dichiarare quale fosse il mio credo religioso e se, in particolare, avessi dichiarato di essere ateo.

A questa ispezione intimidatoria del Ministro Castelli rispondevo con una lettera con la quale chiedevo al Ministro di rimuovere tutti i crocifissi dai tribunali, perché la circolare fascista che li contemplava era incompatibile col principio di laicità della Costituzione repubblicana e ledeva miei diritti soggettivi di rango costituzionale (in particolare: il diritto alla non discriminazione religiosa ed il diritto alla libertà religiosa) come sancito esplicitamente dalla Cassazione penale nella sentenza 1.3.2000 n. 4273, Montagnana. In via subordinata chiedevo al Ministro l'autorizzazione ad esporre i miei simboli religiosi, con ciò rivendicando la stessa dignità e gli stessi diritti attribuiti ai cattolici: rimarcavo che, in caso di mancata autorizzazione, si sarebbe perpetrata una discriminazione religiosa ai miei danni, cioè il crimine previsto e punito dall'art. 3 della L. 13.10.1975 n. 654 (ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 17.3.1966).

Nessuna risposta perveniva da parte del Ministro.

Proponevo allora nell'aprile 2004 ricorso al TAR delle Marche. L'Avvocatura di Stato resisteva in giudizio affermando che la circolare del Ministro fascista del 1926 non era stata abrogata in modo esplicito e che, per altro verso, l'ostensione dei crocifissi nelle aule giudiziarie era un atto di "professione di fede" da parte dello Stato italiano ("laico"!!!!), come tale del tutto legittimo ai sensi dell'art. 19 della Costituzione.

Proponevo istanza cautelare per la rimozione in via di urgenza dei crocefissi, rappresentando in modo esplicito che solo per senso civico mi ero sino ad allora astenuto dal rifiutarmi di tenere le udienze per evitare di violare il mio dovere costituzionale di imparzialità (art. 111 Cost.) e per tutelare i miei diritti costituzionali all'eguaglianza ed alla libertà religiosa: l'istanza veniva respinta dal TAR con l'apodittica affermazione che "non vi era pregiudizio nel ritardo". Sempre per senso civico rinunciavo a fare quello che avevo, secondo la Cassazione, diritto di fare, cioè astenermi dalle udienze per libertà di coscienza legata all'imposizione obbligatoria del crocifisso, simbolo nel quale non mi identifico minimamente.

"In compenso", però, iniziavano a pervenirmi, da parte di anonimi cittadini cattolici, lettere di stampo razzistico/religioso che "mi spiegavano" "perché" la menorà fosse "indegna" di essere esposta a fianco del crocifisso. In particolare il 12.4.2005 mi perveniva una lettera di un anonimo razzista cattolico, indirizzata anche al Ministro di Giustizia On.le Castelli e al Presidente del Tribunale, con la quale questo individuo affermava che "affiancare al Cristo in croce altri simboli o il simbolo di coloro che ne sono divenuti carnefici è un sacrilegio che offende Gesù Cristo e la Verità della storia, esaltando un popolo che si è comunque macchiato di un orrendo delitto contro Dio". Questo cattolico bollava la mia pretesa di esporre la menorà come "oltraggiosa per la Giustizia italiana" e chiedeva al Ministro di Giustizia "come la mia iniziativa potesse essere da lui tollerata".

Subito dopo aver ricevuto questa lettera, per la precisione il 3.5.2005, inoltravo al Ministro di Giustizia un "ultimatum" col quale gli chiedevo, in via principale, di rimuovere i crocifissi o, in subordine, di autorizzarmi ad esporre la mia menorà a fianco del crocifisso cattolico, in ottemperanza al principio di eguaglianza e non discriminazione. Preannunciavo che mi sarei astenuto dal tenere le udienze a partire dal 9.5.2005, se fosse stata respinta anche la richiesta di esporre la menorà: e questo, sia per legittima reazione contro atti di criminale discriminazione religiosa, compiuti dallo Stato italiano ai miei danni, sia per "libertà di coscienza", cioè per non violare il mio dovere costituzionale di imparzialità (art. 111) e per tutelare i miei diritti costituzionali all' eguaglianza religiosa (art. 3) ed alla libertà religiosa (art. 19).

Invitavo dunque il Presidente del Tribunale a provvedere alla mia eventuale sostituzione, dal 9 maggio in poi, per garantire la prosecuzione del servizio.

Alla mia richiesta seguiva, come di consuetudine, il totale silenzio da parte del Ministro, sicché dal 9 maggio iniziavo a rifiutarmi di tenere le udienze, seguitando ad esercitare tutte le altre incombenze (GIP, provvedimenti cautelari, decreti ingiuntivi, giudice tutelare etc.).

A questo punto mi veniva rivolto l'invito di tenere le udienze nel mio studio o in altra aula senza crocifisso: respingevo immediatamente questa proposta evidenziandone, non solo l'estrema contraddittorietà (se la presenza del crocifisso, infatti, è legittimamente imposta dalla circolare ministeriale, né il Presidente del Tribunale né il Presidente della Corte d'Appello possono violare la legge, vigendo in Italia il principio della legalità), ma anche le sue intollerabili e criminali connotazioni di segregazione e di discriminazione religiosa, che ledevano la mia dignità di essere umano.

Nonostante ciò, si tornava alla carica con una "proposta" ancora più discriminatoria, più offensiva e più contraddittoria: cioè quella di riprendere le udienze in un'"aula-ghetto", appositamente allestita per me senza crocifisso. Tale proposta mi veniva comunicata con nota del Presidente del Tribunale datata 19.7.2005, nella quale si affermava che "la nuova aula di udienza sarebbe stata a disposizione di tutti i magistrati del Tribunale di Camerino, e quindi non si sarebbe potuto assolutamente dire che essa avesse rappresentato una forma di discriminazione o di "ghettizzazione" nei miei confronti".

Respingevo questa offensiva proposta con lettera del 7.8.2005 (doc. n. 1), alla cui attenta lettura rinvio. Sottolineavo, in particolare, che la circostanza che i giudici "cattolici" del Tribunale di Camerino potessero frequentare, oltre alle aule "ufficiali" destinate alla loro "superiore religione", anche l'aula-ghetto in allestimento per il giudice ebreo, non era un argomento valido per escluderne le connotazioni discriminatorie e ghettizzanti. Ricordavo, a tal proposito, che anche i cattolici, "inventori" sin dal 1215 d.C. dei "ghetti" nei quali furono confinati gli ebrei, ed anche i cristiani nazisti, "inventori" dei lager nei quali trucidarono gli ebrei, avevano avuto anch' essi la facoltà di di frequentare" tali "luoghi" di "segregazione criminale": non per questo, però, qualcuno avrebbe potuto escludere che i ghetti e i lager fossero stati luoghi di criminale segregazione.

Comunque, per tagliare la testa al toro ed avere l'immediato e concreto riscontro della sincerità della proposta che mi veniva propinata come "non ghettizzante", proponevo di scambiare la "fetta di torta" che l'Amministrazione Cattolica mi offriva con quella che essa si riservava, cioè dichiaravo la mia assoluta disponibilità a riprendere immediatamente la trattazione delle udienze, purché l'Amministrazione avesse provveduto a sostituire i crocifissi con altrettante menorà ebraiche nelle aule "ufficiali" ed avesse escluso qualsiasi addobbo religioso nella "nuova" aula in allestimento, nella quale, dunque, avrebbero potuto operare "anche" i giudici cattolici, oltre al giudice "ebreo".

Questo "scambio delle fette di torta", guarda caso, non veniva accettato, sicché ricevevo la immediata e concreta dimostrazione di quanto fossero falsi, capziosi, discriminatori e ghettizzanti gli intenti che l'Amministrazione della Giustizia cattolica voleva perseguire.
Dopo un po' la Procura dell'Aquila apriva due procedimenti penali per omissione di atti di ufficio, per "essermi astenuto dal tenere le udienze, indebitamente motivandola espressamente per la presenza in aula del crocifisso".

Facevo immediatamente notare al P.M. aquilano che il capo di imputazione conteneva una contraddizione a dir poco gigantesca, perché si era omesso di considerare che il mio rifiuto scaturiva, in primo luogo, dal fatto che lo Stato mi impediva di esporre la menorà ebraica, mentre consentiva l'ingresso nelle aule pubbliche ai crocifissi: rappresentavo che questo comportamento discriminatorio non soltanto violava l'art. 3 della Costituzione e gli artt. 9 e 14 della Convenzione sui diritti dell'Uomo, ma integrava anche il reato di cui all'art. 3 della legge 13.10.1975 n. 654, a mente del quale è punito con la reclusione sino a tre anni "chi commette atti di discriminazione per motivi...religiosi". Concludevo, pertanto, evidenziando che il mio rifiuto era, innanzitutto, una reazione legittima contro atti di delittuosa discriminazione religiosa, sicché ritenevo a dir poco grottesco che, anziché indagare sul conto dell'aguzzino che tentava di infilare l'ebreo nel forno crematorio -cioè di Organi istituzionali dello Stato- si indagasse sul conto dell'ebreo che si rifiutava di entrarvi.

Chiedevo pertanto al P.M. aquilano di integrare il capo di imputazione, facendo risultare la verità, e cioè che il mio rifiuto di tenere le udienze scaturiva, in prima battuta, dall'imposizione del divieto di esporre la mia menorà ebraica a fianco del crocifisso.
La richiesta veniva immotivatamente disattesa e il P.M. chiedeva ed otteneva il mio rinvio a giudizio immediato dinanzi al Tribunale dell'Aquila per l'udienza del 18.11.2005. All'esito del dibattimento il Tribunale pronunciava condanna a sette mesi di reclusione, nei confronti della quale pende appello.

La Procura Generale presso la Corte di Cassazione, da parte sua, proponeva nei miei confronti un procedimento disciplinare incolpandomi, sostanzialmente, degli stessi fatti addebitatimi in sede penale e chiedendo, poi, la mia sospensione dalle funzioni e dallo stipendio. Il Consiglio Superiore della Magistratura decretava il 31.1.2006 la mia sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio.

Successivamente la Procura della Repubblica dell'Aquila mi notificava altri sei avvisi di procedimenti penali per altrettanti reati di rifiuto di atti di ufficio riferiti ad altre udienze da me non tenute.

In previsione della celebrazione del processo di appello e di questi sei nuovi processi, inoltravo il 5.9.2006 una lettera al nuovo Ministro della Giustizia On.le Clemente Mastella (doc. n. 2) con la quale (tra l'altro) gli rinnovavo l'invito a rimuovere i crocifissi da tutte le aule giudiziarie italiane o ad aggiungere tutti i simboli religiosi, preannunciando che, in caso contrario, mi sarei rifiutato di farmi processare da giudici parziali che si identificano nella divinità cattolica a causa dell'ostensione generalizzata dei crocifissi. Nella missiva lamentavo e denunciavo la discriminazione religiosa che lo Stato Italiano seguitava a perpetrare ai miei danni e ai danni dei non cattolici.

Nello stesso mese di settembre 2006 l'On.le Maurizio Turco indirizzava al Ministro di Giustizia un'interpellanza (doc. n. 3) con la quale chiedeva, tra l'altro, "per quali validi motivi -che, secondo l'interrogante, non siano quelli di discriminazione razziale, odio e disprezzo degli ebrei e della religione ebraica- il Ministero interrogato ha negato al dott. Tosti Luigi di esporre a fianco del crocifisso la menorah, usufruendo così degli stessi diritti religiosi e della stessa dignità che l'Amministrazione fascista italiana accordò e che quella repubblicana seguita ad accordare ai cattolici".

Nessuna risposta perveniva -né è mai pervenuta- dall'attuale Ministro di Giustizia On.le Mastella.

"In compenso", però, il 3 novembre 2006 venivo contattato da un giornalista che mi chiedeva di commentare la notizia, pubblicata da RAI News 24, secondo cui il Ministro di Giustizia Mastella aveva assicurato all'On.le Francesco Storace l'azione disciplinare contro il giudice Luigi Tosti in relazione alla mia lettera del 5 settembre: ovviamente rispondevo che non ne sapevo nulla ma che mi sembrava a dir poco allucinante che fosse stata diffusa una notizia relativa all'attivazione di un presunto procedimento disciplinare che doveva, per legge, rimanere assolutamente riservata.

Ebbene, il successivo 24 novembre venivo contattato telefonicamente dal Segretario del Presidente della Corte di Appello di Ancona che mi invitava a recarmi colà per "ritirare un plico a me indirizzato", senza null'altro poter aggiungere, trattandosi di "questione riservatissima".

Il 25 novembre 2006 ero pertanto costretto ad allontanarmi dal capezzale di mia madre morente per recarmi ad Ancona per ritirare un "plico" che mi era stato colà indirizzato da Roma, quale "amorevole precauzione" per "tutelare la mia riservatezza".

Peraltro, presagendo che la mia convocazione si riferisse alla "riservatissima" comunicazione del procedimento disciplinare, che era già stata "riservatamente" pubblicizzata dalla Stampa nazionale, predisponevo la seguente dichiarazione che, poi, consegnavo al Presidente della Corte di Appello ancor prima di aver letto l'incolpazione:

 

«Al Sost. Proc. Rep. presso la Corte di Cassazione dott. _________________ per il tramite dell'On.le Presidente della Corte d'Appello di Ancona.


Oggetto: Procedimento disciplinare N. ________________/S-4A - Nomina difensore ed elezione domicilio.


Io sottoscritto Luigi Tosti, magistrato in servizio presso il Tribunale di Camerino, presa comunicazione della nota strettamente riservata del __________________ con la quale mi viene comunicato in via strettamente riservata l'ennesimo promovimento di azione disciplinare, ovverosia quanto da me già appreso in via strettamente riservata dalla Stampa nazionale dietro riservata propalazione dell'On.le Storace Francesco, con altrettanto riservata collaborazione del Ministro di Giustizia On.le Mastella, circa il promovimento di un'azione disciplinare connessa alla lettera del 5.9.2006 con la quale ho chiesto, anche nella qualità di imputato in procedimenti penali dinanzi al Tribunale ed alla Corte di Appello dell'Aquila, che venissero rimossi i simboli religiosi dalle aule di giustizia in rispetto del principio supremo di laicità e del corrispondente obbligo di imparzialità del giudice,


dichiaro


di volermi difendere da me medesimo ed eleggo domicilio presso la mia residenza di Rimini, Via Bastioni Orientali n. 38.

Chiedo sin d'ora che, chiusa la fase delle indagini, il Procuratore Generale voglia disporre il mio immediato rinvio a giudizio dinanzi alla Sezione Disciplinare del CSM.

Allego fotocopia notizia stampa propalata il 3 novembre 2006 da RAI News 24, titolata: "Giustizia. Crocefisso in tribunale, Storace: Mastella mi ha assicurato azione disciplinare verso il giudice Tosti".

Cordialissimi saluti.

Ancona, li 25 novembre 2006».

 

Sin qui i fatti.


MOTIVI DELLA DENUNCIA


Nei fatti sopra esposti ravviso atti di criminale discriminazione religiosa, perpetrati ai miei danni da entrambi i Ministri di Giustizia, per cui propongo formale denuncia per il reato di cui all'art. 3 della legge 13.10.1975 n. 564.

Evidenzio, in particolare, che i Ministri di Giustizia, da un lato mi hanno imposto i crocifissi cattolici e, dall'altro, si sono rifiutati, per bieche motivazioni di discriminazione religiosa, di farmi esporre la menorà ebraica a fianco del crocifisso, pur non sussistendo alcun impedimento giuridico.

Evidenzio, altresì, che l'amministrazione giudiziaria italiana consente ai dipendenti della "superiore" razza cattolica di esporre nei pubblici uffici tutti i crocifissi che vogliono e persino le effige della Madonna nelle sue varie versioni itineranti (Fatima, Lourdes, Loreto, Medjugorie, Villanova d'Asti, Tinos, Parigi, Guadalajara, Valmala, Celles, La Salette, Cerreto Sorana, Porzus degli Slavi, San Luca di Montefalco, Pontmain, Pellevoisin, Knock, Corato, Castelpetroso, Imbersago, Torino, Cernusco sul Naviglio, Messina, Campinas, Beauraing, Banneux, La Vang, Itri, Milano, Paravati, Bonate, Balasar, Amsterdam, Montichiari, Tre Fontane, Casanova, Ile Bouchard, Caiazzo, Gimigliano di Venarotta, Ceggia, Balestrino, Venezia, Turzovka, Neuweier, San Damiano, Monte Fasce, Jaddico, Zeitun, Placanica, Bayside, Akita, Gallinaro, Betania, Berlicum, Ohlau, Kibeho, Damasco, San Nicolas, Carpi, Schio, Oliveto Citra, Belpasso, Monfenera, Grushew, Conyers, Kurescek, Giampilieri Marina, Aokpe, Carrizales, Ostina, Ischia, Stupinigi, Foro d'Ischia e Marpingen), nonché le effige dei vari santi e Padri-Pii: la stessa Amministrazione, guarda caso, trova però oltraggioso e sacrilego che i simboli della "inferiore" razza ebraica possano godere dello stesso diritto.

Ribadisco, altresì, che un anonimo criminale, appartenente a setta cattolica, aveva indirizzato al Ministro Castelli ed al Presidente del Tribunale di Camerino una lettera con la quale aveva affermato che "affiancare al Cristo in croce altri simboli o il simbolo di coloro che ne sono divenuti carnefici è un sacrilegio che offende Gesù Cristo e la Verità della storia, esaltando un popolo che si è comunque macchiato di un orrendo delitto contro Dio".

Ebbene, questa anonima "istigazione" criminale è stata condivisa dal Ministro di Giustizia, che se ne è anzi fatto "paladino".

La mia richiesta di esporre la menorà a fianco del crocifisso, infatti, non solo è stata disattesa ma, dopo che mi sono rifiutato di tenere le udienze a causa di questa criminale discriminazione, l'Amministrazione Giudiziaria, anziché autorizzarmi ad esporre la menorà -come ben avrebbe potuto- ha addirittura allestito un'aula-ghetto, senza crocefisso, nella quale mi si è fatto assoluto divieto di esporre il mio simbolo: il che implica che l'Amministrazione Giudiziaria Italiana ha di fatto condiviso l'istigazione razzista dell'ignoto cattolico, al punto tale da ritenere che il simbolo degli ebrei sia da considerare "sacrilego" e "blasfemo" e, quindi, "indegno" di essere ostentato nelle aule dei tribunali italiani.

L'aspetto più grottesco di questo comportamento razzistico dei Vertici dell'Amministrazione giudiziaria italiana è che esso è continuamente alimentato dalle istigazioni, altrettanto discriminatorie, dei Papi e della Chiesa Cattolica che, ripetutamente e in più occasioni, hanno pubblicamente affermato che soltanto i crocifissi debbono essere esposti negli uffici pubblici italiani, nelle scuole pubbliche italiane, nei tribunali italiani e negli ospedali pubblici italiani: e questo per rendere "visibile" la "presenza" del loro unico Vero Dio il quale peraltro, da parte sua, seguita ad occultarsi alla vista degli uomini per motivi che, almeno per chi non ha rinunciato a far uso del cervello, restano incomprensibili, non potendo supporsi che questo Essere asseritamente così onnipotente, onnipresente ed onnisciente e, per di più, fatto a nostra immagine e somiglianza, si diletti ancora ancora a giocare a nascondino o soffra di una qualche forma di "timidezza" che gli impedisce di rendersi visibile e manifesto alla sua specie prediletta, cioè agli uomini.

Ancor più delirante è la circostanza che questi messaggi eversivi del Vaticano e della CEI -che cioè violentano e calpestano il principio supremo della laicità sancito dalla Costituzione italiana e che istigano alla discriminazione religiosa i Governanti italiani- vengano tranquillamente diffusi dai mezzi di informazione pubblica italiani, RAI in testa, pur integrando gli estremi del delitto previsto dall'art. 3 della L. 13.10.1975 n. 654, a mente del quale "è punito con la reclusione sino a tre anni chi incita a commettere atti di discriminazione per motivi... religiosi".
Evidentemente il Papa, la RAI e i Ministri di Giustizia non considerano che l'art. 3 della Costituzione sancisce che "tutti i cittadini -quindi anche gli ebrei- hanno pari dignità e sono uguali dinanzi alla legge, senza distinzione di religione"; non considerano che l'art. 8 della Costituzione sancisce che "tutte le confessioni religiose -e quindi anche l'ebraismo- sono egualmente libere davanti alla legge"; non considerano che l'art. 19 della Costituzione sancisce che "tutti -e quindi anche gli ebrei- hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne il culto anche in pubblico"; non considerano che l'art. 9 della Convenzione internazionale sui diritti dell'Uomo sancisce che "ogni persona -e quindi anche l'ebreo- ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto importa la libertà di cambiare religione o di pensiero, come anche la libertà di manifestare la propria religione o il proprio pensiero individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, per mezzo del culto, dell'insegnamento, di pratiche e di compimento di riti "; non cosiderano che l'art. 14 della medesima convenzione ("Divieto di discriminazione") sancisce che "il godimento dei diritti civili e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere garantito a tutti, quindi anche agli ebrei, senza alcuna distinzione, fondata soprattutto sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o altre opinioni, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, sui beni di fortuna, nascita o ogni altra condizione"; e non considerano, infine, che la discriminazione religiosa è, al pari della discriminazione razziale, un reato.

E non è un caso -ma si tratta al contrario del riscontro concreto degli opposti principi costituzionali ed internazionali di eguaglianza e non discriminazione religiosa- che l'art. 58 del regolamento penitenziario (D.P.R. 30.6.2000 n. 230) accordi a tutti i detenuti -e quindi anche agli ebrei- il sacrosanto diritto di esporre, nella propria camera o nel proprio spazio di appartenenza, immagini e simboli della propria confessione religiosa, evitando così qualsiasi possibile discriminazione tra i credenti o assurdi "privilegi" a favore dei cattolici.

Ma non è tutto.

Infatti, altrettanto criminale, discriminatoria, indecente e ingiuriosa è la proposta di "ghettizzazione" che mi è stata avanzata allo scòpo di "preservare" il Crocifisso cattolico dal "sacrilego" accostamento della menorà ebraica. Questa criminale discriminazione evoca sin troppo l' apartheid praticata da altri Stati razzisti, laddove si vietava a negri e/o ebrei di entrare nei locali pubblici o salire sui mezzi pubblici "riservati" alla superiore razza bianca o ariana. È una vergogna che mi sia stata prospettata una siffatta, indecente, proposta ghettizzante. Ma la vergogna ancor più ignobile è che una siffatta forma di ghettizzazione sia stata recepita ed avallata per decretare la mia condanna penale e la mia temporanea sospensione dalle funzioni e dallo stipendio.

Nei "ghetti", cari Cattolici, andateci Voi, visto che siete Voi -e non i nazisti- che li avete inventati e siete sempre Voi -e non i nazisti- che, per primi nella storia, avete imposto agli ebrei l'obbligo di portare "segni distintivi" per distinguerli dalla Vostra "Razza Superiore". È ignobile che si sia affermato, da parte di autorità di questo Stato razzista, che mi è stata "offerta" l' "opportunità" di seguitare a svolgere le mie attività di giudice confinato in un ufficio e in un'aula-ghetto dove avrei dovuto lavorare, alle dipendenze della razzistica Amministrazione della Giustizia, per il resto della mia esistenza, sino a pensionamento. È ignobile che non ci si vergogni nemmeno di queste criminali ed offensive affermazioni, al punto tale da avallarle come legittime e risolutive della questione ebraica.

Nelle aule-ghetto e negli uffici-ghetto, carissimi Cattolici, andate a lavorarci Voi.

Per questi criminali comportamenti discriminatori propongo formale denuncia penale contro i Ministri di Giustizia responsabili.

 

Resto ora in attesa di verificare, attraverso l'esito di questa denuncia, quali saranno le granitiche motivazioni con le quali si delibererà che questi palesi atti di discriminazione religiosa, compiuti da Organi istituzionali dello Stato, debbano essere esentati dall'esercizio dell'azione penale. Non mi meraviglierei affatto di constatare che la giustizia italiana si attiva soltanto nei confronti degli striscioni razzistici esibiti dai tifosi negli stadi: soprattutto quando in ballo ci sono discriminazioni religiose istigate e fomentate dal Vaticano e dalla Chiesa Cattolica, ben adusi a pretendere e ricevere dai Governanti assurdi privilegi in totale spregio del principio di eguaglianza e di libertà religiosa di cui, ipocritamente, si fanno a parole paladini. Non mi meraviglierei affatto di constatare che, mentre la Cassazione ha sentenziato che ricorre il delitto di discriminazione razzistica nel caso del barista che si è "rifiutato" di servire i caffè ai nord africani, per l'analogo "rifiuto", a me opposto, di esporre la menorà a fianco del crocifisso, nonché per l'indecente ed oltraggioso invito a lavorare in un'aula ghetto, si decreterà che l'Amministrazione razzista deve essere esentata dal promovimento dell'azione penale.

Resto in attesa di verificare se si sentenzierà, magari, che l'infima menorà ebraica è indegna di entrare nei tribunali itlaiani perché "turba" la "sensibilità" della "superiore" Razza Cattolica, del Vaticano e della CEI.

Attendo di verificare se la richiesta di un ebreo di esporre la propria menorà nei luoghi dove lo Stato italiano consente ai cattolici di esporre i loro crocifissi e, quindi, di avere gli stessi diritti e la stessa dignità della Superiore Razza Cattolica, sarà qualificata -come è stata di fatto qualificata dal Tribunale dell'Aquila, prima, e dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione- una pretesa "PRETESTUOSA".

Attendo anche di verificare se sarà condiviso quanto affermato dal Consiglio Superiore della Magistratura nell'ordinanza n. 12/2006, depositata il 23.11.2006, e cioè che la mia pretesa di esporre la menorà è "infondata" perché "per poter assere accolta richiederebbe che il Legislatore compia scelte discrezionali che allo stato non sono state compiute"!!!


E, in effetti, non nascondo che mi piacerebbe leggere, nelle future richieste di archiviazione di questa denuncia, che il Crocifisso della "Superiore Razza Cattolica" può essere esposto dal Ministro di Giustizia nei tribunali con semplici "circolari", peraltro dell'epoca fascista, mentre per i simboli dell'infima razza ebraica le circolari non siano sufficienti, necessitando la preventiva emanazione di........ atti LEGISLATIVI del Parlamento!!!

 

In attesa di avere queste risposte, che produrrò poi nel giudizio dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ricordo ancora che il Ministro di Giustizia Clemente Mastella ha sino ad oggi omesso di rispondere all'interpellanza dell'On.le Maurizio Turco n. 130/2006 con la quale gli ha tra l'altro chiesto di "giustificare per quali validi motivi -che, secondo l'interrogante, non siano quelli di discriminazione razziale, odio e disprezzo degli ebrei e della religione ebraica- il Ministero interrogato ha negato al dott. Tosti Luigi di esporre a fianco del crocifisso la menorah, usufruendo così degli stessi diritti religiosi e della stessa dignità che l'Amministrazione fascista Italiana accordò e che quella Repubblicana seguita ad accordare ai cattolici": invito dunque i P.M. ad acquisire la risposta del Ministro Clemente Mastella, sempre che il Ministro cattolico intenda rispondere.

Chiedo di essere informato ex artt. 408 e 410 C.P.P. sia per l'ipotesi di richiesta di archiviazione che per quella di proroga delle indagini.

Nomino sin d'ora difensori l'Avv. Dario Visconti, Via XX Settembre, L'Aquila, e l'Avv. Francesco Asciano, Via G. Bazzoni n. 1, Roma, cui conferisco mandato all'esame degli atti ed all'estrazione delle copie.

Eleggo domicilio nella mia residenza di Rimini.

 

Allego:

1°) mia lettera del 7.8.2005;

2°) mia lettera del 5.9.2006;

3°) interpellanza On.le Turco Maurizio n. 130/2006.

 

Rimini, li 10 gennaio 2007.

 

Luigi Tosti

 

Fonte: blog Nochiesa, 29/01/2007


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