Ha la pancia. È calvo. Non è più il bel tenebroso della foto che lo immortalava ventiquattrenne mentre palleggiava a piedi nudi sullo smeraldo di un prato sotto l'alto cielo di Mexico City anno Domini 1970, quello del Mundial di Italia-Germania 4-3, della staffetta Rivera-Mazzola e dell'epilogo targato 4-1 in favore del Brasile dai numeri 10 contro gli azzurri di Uccio Valcareggi. Il 74enne panciuto e stempiato di oggi, il giovanotto baffuto di cinquant'anni or sono, è Roberto Rivellino, meglio noto come Rivelino, nato a São Paulo, la più grande città “italiana” nel mondo. Figlio di migranti molisani (da Macchiagodena) e gloria del Brasile.
Mancino puro – ma talvolta segnava reti magistrali anche con il piede sbagliato – poteva giocare da ala sinistra o da mezzapunta (o mezzala) offensiva, un trequartista che spaziava, inventava, creava e finalizzava. Un 10-11 secondo la vecchia classificazione e divisione in ruoli-numeri. Un genio del gioco, un talento sublime, una tecnica raffinatissima. Dribbling, tiro-bomba o liftato, passaggi felpati o sapienti lanci lunghi, punizioni irresistibili ed effetti impossibili e – marchio di fabbrica, sua invenzione – l'elegantissimo (e funzionale) gesto tecnico ribattezzato "elastico", incipit sovente di un dribbling ubriacante, estasiante, sommamente estetico e pur funzionale.
Ah che nostalgia di quei 169 cm x 73 kg... E lo picchiavano i difensori, ne prendeva di botte quel gatto magico che lui era (oggidì gli attaccanti ricevono una tutela di cui illo tempore il povero Roberto non godeva di certo).
Nella sua carriera nella terra natia Palmeiras da giovanissimo (la squadra degli italiani del Brasile, non a caso nel suo primo nome Palestra Itália), all’esordio da pro e per tanti anni il Corinthians, infine il Fluminense in quel di Rio. Centinaia di partite e oltre duecento gol. Tante maglie verdeoro, con tre Mondiali disputati, gol d'autore e il cross dalla sinistra con cui all'Azteca Pelé salì in cielo per l'1-0 contro Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini & Co.
Giocoliere, funambolo ed anche emblema di concretezza. Gioia di chi ama(va) il gioco. Per sempre cristallizzato in quell'attimo eterno di Messico e nuvole sullo smeraldo di un prato nel palleggio a piedi nudi, preludio all'elastico, ai colpi di tacco, ai pallonetti, alle folgori da lontano, alle rasoiate spiazzanti e millimetriche, al velluto di tocchi smarcanti. Poesia pura. Autentica fantasia al potere. Amici, rifatevi gli occhi su YouTube!
Jairziho, Gerson, Tostão, Pelé e... Rivelino, il gatto magico, a chiudere quello SplendidoSplendente 11 che principiava dal portiere Félix. Ah che nostalgia...