La cifra dominante della poesia di Giorgio Bàrberi Squarotti, studioso e critico, per tanti anni docente di Letteratura Italiana all’Università di Torino, si caratterizza per quell’introspezione radicale e felice, spinta fino alle estreme conseguenze, dove tutto il mondo si dissolve per ridursi a un puro fascio di emozioni, per lo più di natura visiva.
Emozioni fluenti, evocanti melodie che dileguandosi, lasciano nel lettore l’incanto della contemplazione che solamente la luce della Poesia sa riflettere.
Realtà e tempo si sfaldano, si scompongono, si ricompongono in fili che ora legano al passato ora proiettano verso i cieli sconfinati del futuro.
Memoria e speranza sigillano il mistero di ogni esistenza. Dalla pausa, dal silenzio rinasce il dialogo infinito con se stessi e con gli altri.
L’opera Le Langhe e i sogni,1 a mio giudizio, è forse quella che, più di ogni altra, dà vita a tali pensieri e suscita curiosità e interesse in quanto ricca di simboli e di immagini surreali. I versi, espressione di una libera individualità creatrice, sono attraversati da elementi psicologici e biografici. Si riflette, riconoscibile, la prospettiva interna alla figuralità fantastica dell’io, presente in tutta la sua capacità di vita.
Una voluttà immaginosa si muove sullo sfondo di un tessuto pittorico dove anche gli oggetti più comuni assumono, nel loro cromatismo, i toni dell’assurdo. Le immagini si susseguono con alternazione ritmica e hanno, indubbiamente, un valore metaforico, riconducibile a una particolare visione o sentimento delle cose: il Nulla? la Verità?
La nudità (elemento costante e quasi ossessivo) certamente rappresenta l’essenza stessa della realtà: nudità o essenza che non è esistenza, ma peculiarità dell’atto, per cui un’essenza (che in quanto tale è solo possibile) può considerarsi la perfezione dell’esistenza effettiva. Per il poeta Giorgio Bàrberi Squarotti, però, quell’esistenza si dilegua nel sogno …la visione / che sfuma nella realtà del cuore / …candore di una neve...
Sembra quasi che il poeta voglia svincolare il suo spirito da se stesso, dalla soggettività individuale e annullarsi nella natura, ne la pioggia più crudele sotto il vento… sulla cima del monte… alle sorgenti roride ove sono / le querce e i faggi… in un costante fluire verso l’universo, vivente e divino.
Ed è la natura stessa che, nella sua essenza di poesia enigmatica (Saggi di Michel Eyquem de Montaigne), si pone come trait d’union fra il tempo e l’eternità (sogna la rinascita / o teme le due immobili stagioni… si accontenta / del lampo luminoso / unico dono… offerto dallo stanco Iddio).
Ed è sempre la natura, nella sua purezza, ad avere un effetto trasfiguranteo idealizzante sul corpo femminile il quale, in alcuni versi, assume – o sembra assumere – significato di portata metafisica (fatta intatta / dalla luce di settembre) – sì da apparire nella sua grazia dell’Amore vero / godimento della carne e dell’anima… e, forse, essere anche in grado di guarire dal Male eterno.
Corpo femminile, quindi, come sogno, figura fissa che appare e scompare con la velocità di un lampo, espressione di un desiderio e al tempo stesso del nulla che lascia sgomenti come il... / mondo da sempre, povero d’esistere / incapace di udire la parola… eppur proiettato sempre altrove, dove una luce folgorata potrebbe ristabilire l’equilibrio tra l’illusoria speranza e il disincanto o il gelo della morte.
Credo che la valenza di questo libro stia proprio nella consapevolezza dell’uomo di trovarsi di fronte al mistero dell’Essere – che si incarna nelle innumerevoli forme del tempo (…precipita / verso il mistero del dubbioso anno) e dello spazio (ben visibile nei paesaggi piemontesi delle Langhe) – e nella singolare capacità sensoriale del poeta che, con parola diamantina e stile classico, coglie le sfumature, i riflessi, i toni e le vibrazioni della diveniente realtà. (Giuseppina Rando)
1 Giorgio Bàrberi Squarotti, Le Langhe e i sogni, Edizioni Joker, Novi Ligure 2003.