La scuola si presta a essere descritta in primo luogo da due punti di vista, a volte divergenti, se non in contraddizione tra loro: quello di chi la frequenta come studente; e quello di chi ci lavora in qualità di insegnante o di dirigente.
Una particolarità del film francese L’anno che verrà – diretto da due registi: uno si firma con lo pseudonimo Grand Corps Malade, l’altro è Mehdi Idir – è mettere a confronto, a volte drammaticamente, questi due spesso contrastanti punti di vista.
La scuola al centro del racconto sorge in un quartiere periferico di Parigi, e ospita classi di studenti che sono stati espulsi dalle classi regolari, o per indisciplina o per scarso profitto. Si tratta di bambini e di adolescenti in maggioranza di origine straniera, che provengono da famiglie in stato di miseria, dove magari uno dei genitori è in galera, e i ragazzi stessi si arrangiano a sopravvivere rubando o spacciando. Il racconto ci riferisce le loro condizioni di vita – che a volte sfociano in tragedie – senza patetismi, perché la nota predominante in questo gruppo di personaggi è, nonostante tutto, la loro vitalità, la loro allegria, il loro irriverente umorismo. Lo sguardo che posano sulla scuola è demistificante. Che senso ha, si chiedono, essere istruiti in materie utili per professioni dalle quali studenti della loro estrazione sociale sono esclusi a priori? E poi: creare classi speciali per studenti “difficili” non aggrava lo stigma sociale che già pesa su di loro? La scuola non è per loro un’inutile clausura, simile a un penitenziario? E quegli insegnanti che posano a persone serie e autorevoli non si rendono per ciò stesso ridicoli?
D’altra parte, se alcuni di quegli insegnanti sono esacerbati dallo spirito caustico di cui sono continuamente fatti oggetto, se non credono nemmeno più all’utilità della loro professione, altri di loro – e insieme agli insegnanti, nel film, una vicepreside – protestano invece che la scuola, per studenti in simili condizioni, è forse l’ultima possibilità di riscatto; sono attenti a cogliere i talenti di ogni singolo studente per suggerirgli un percorso professionale. E se devono apparire autoritari è per contenere quella piccola orda barbarica che è racchiusa in ogni classe, e che rischia a ogni momento di travolgerli nell'insubordinazione o nella rivolta.
Il film, insomma, sottende un dibattito sulla scuola, senza essere tuttavia soltanto un film di idee a confronto. Perché ciò che più conta è che poi quelle idee si incarnano in un folto gruppo di personaggi – che appartengono a tutti i gruppi componenti la scuola, compresi genitori e sorveglianti. Personaggi che anche quando appaiono soltanto in una scena, non risultano mai convenzionali o macchiettistici. Sono spesso visti con umorismo, ma lasciano comunque un’impressione di autentica umanità.
L’anno che verrà è un film che appartiene al filone del nuovo neorealismo francese (fra l’altro gran parte degli attori non sono professionisti). È stato portato nelle poche sale che hanno riaperto da un distributore indipendente, Movies Inspired: e gliene va dato merito, perché si tratta di un film da vedere.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 18 luglio 2020
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