La costrizione domiciliare a causa dell’emergenza Covid-19, che tanti disagi ha comportato, si è rivelata anche l’occasione per riconsiderare l’attuale sistema di vita e riproporre mentalità e attitudini che sembravano dimenticate. Nelle zone rurali di Velletri (Castelli Romani) dopo un momento di sconcerto che però non ha interdetto i lavori stagionali, la situazione di blocco ha prodotto in realtà un fermento insolito, sicuramente produttivo. Si è riscoperto il valore del buon vicinato e del mutuo soccorso ‒ “oggi a me domani a te” ‒ arrivando al baratto con lo scambio di uova e zucchero, ortaggi e spaghetti, e insomma quello che si ha per quello che invece occorre, un ritorno alle usanze, non solo campagnole, di quando non c’erano i supermercati sotto casa e si bussava alla porta accanto. Scambi di idee, ricette e consigli attraverso le recinzioni, prestiti di utensili e materiali vari per lavoretti e riparazioni che aspettavano da tempo, previsioni e commenti fra un bicchiere di vino e una tazzina di caffè, e pure qualche messa in piega o taglio di capelli di professionisti al momento disoccupati. Ma l’attività preminente restava quella legata alla produzione agricola/alimentare, con l’apporto anche dei residenti impegnati in altri settori e al momento costretti a casa, che seppure non inclini a lavorare la terra si misero come tutti a zappettare il quadratino d’orto riscoprendo il valore delle nostre nobilissime origini contadine.
Poi arrivò anche qualche ospite notturno a scassare la terra, buche da affondarci dentro con tutta la gamba per rosicchiarsi radici e bulbi, e si armò allora la discussione sulla natura dell’invasore e quale fosse il suo punto d’accesso.
Controllate palmo a palmo le recinzioni nel groviglio della vegetazione, subito sfoltita per l’ispezione, presero il via le congetture sulla base di certi rilevamenti. Escluso il cinghiale per dimensioni ‒ per quanto già apparso in precedenza con tutta la cucciolata nello stesso appezzamento, penetrando da un buco della recinzione subito individuato e tappato ‒ si passò all’istrice, o al tasso come qualcuno sosteneva. Si optò definitivamente per l’istrice considerando lo sterminio di bulbi di ciclamino, e di piante fino alla radice di gigaro ‒ o calla selvatica o pan di serpe ‒ che si rigenera a primavera e di cui l’istrice, il più grande roditore della nostra fauna, è particolarmente ghiotto e refrattario alla tossicità di tale pianta erbacea.
Tappa qui e tappa là, nel terreno che sembrava bombardato, ma non si trovava soluzione e alla fine la resa e si decide per una nuova recinzione. Solo a lavoro ultimato si trovò un aculeo dell’istrice sfrattato e quasi dispiacque a tutti averlo allontanato, tanto schivo per quanto simpatico, ma si sapeva al sicuro nella boscaglia a mezza costa, e si riprese a piantare patate.
Maria Lanciotti
(da castellinotizie.it, 25 giugno 2020)