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In libreria/ Silvia Comoglio. “I segni e la polvere” di Giorgio Bonacini
25 Giugno 2020
 

Non basta guardare / se l’astro che brilla / per gatti / e dintorni / conserva il ricordo / verdastro / che fu l’adesione / ontologica / a un tutto straziato / da tanta parola / per sé gnoseologica / pura o analogica”, così ci ammonisce Giorgio Bonacini nella sua ultima raccolta I segni e la polvere – 52 poesie distrattamente felici di recente edita da Arcipelago Itaca. Non basta guardare perché lo sguardo, da solo, rimane sulla superficie delle cose, come appoggiato soltanto e non vi scende fin dentro nelle viscere. Appoggiato soltanto lo sguardo costruisce un unico polo, un polo che può essere positivo oppure negativo, fonicosimbolico oppure gnoseologico, ma, appunto, resta un unico polo, permane quell’opposizione, quell’oppure, che denota frammentando. Perché il polo si raddoppi e raddoppiandosi riveli la totalità dell’essere, di quell’essere che ci appartiene e che viene incarnato nella parola e attraverso la parola, ecco, perché questo succeda occorre varcare la soglia dello sguardo, sprofondare nell’essenza di mondo cose e persone. Ed è così, sprofondando, che anche ciò che è diametralmente opposto può ricongiungersi e consegnarci una sostanzialità compiuta. Una sostanzialità che qui Giorgio Bonacini, per darci l’idea di come si presenti e possa essere riconosciuta nel suo sgretolarsi e vanificarsi, racchiude tra il polo segni e il polo polvere. I segni come tacche di una profondità psichica e fisica che si ramifica e innesta nel tempo e nel succedersi dell’esistenza e delle esistenze. Tacche che si fossilizzano e stratificano, nodose e intricate, veri giacimenti di forme e di enigmi, di labirinti anche, che si strutturano come specchi perché avvicinandoci a questi enigmi, a questi labirinti, si provi a vedere se confrontandosi con l’enigma e con il labirinto si riesce a far affiorare la nostra essenza, ad aggiungere un nuovo segno. Un segno che quasi inevitabilmente si tradurrà in un nuovo enigma o labirinto ma questo non ha importanza perché è il segno, è la tacca, ciò che testimonia ed è testimonianza, e anche, se vogliamo, messaggio nella bottiglia per il qui ed ora, per il presente, e per il futuro.

Così, dunque, il polo segni. Ma, lo si è detto, un solo polo non basta perché la sostanzialità sia completa, totale. Occorre anche l’altro di polo, la polvere. La polvere è ovunque, depositata su reti annodate sulle nostre ciglia e figure, e in polvere si ridurrà ogni cosa, ogni esistenza. E questo Giorgio Bonacini lo sa bene, ne ha piena consapevolezza, la polvere, per quanto sia sottile, microscopica, ha un peso specifico sconsiderato, ontologicamente equivale al tutto che si negativizza, che si riduce al nulla, al niente.

Il segno senza la polvere non ci darebbe la reale dimensione dell’esistere, ossia quel niente della polvere che ci fa essere, non sarebbe altro, il segno, che un’àncora incapace di darci un solido attracco. E la polvere senza i segni ci inghiottirebbe, ci renderebbe semplici automi, artifici, gettati in una sorta di bolla priva di spazio e tempo. Insieme segno e polvere ci rivelano ciò che siamo, la nostra intima natura, e ciò che possiamo tracciare, consegnare. Ci mostrano, in altri termini, l’abisso sul cui orlo camminiamo, quell’abisso che noi stessi rappresentiamo. Ed è camminando e penetrando fin sul fondale di questo abisso, delineato testo dopo testo dall’autore con una parola acuta mirata e salda, che ci sentiamo distrattamente felici. Una felicità che nasce dall’aver compreso, dall’aver capito, il nostro limite, le giravolte dell’inganno e il nostro annaspare. Quel limite e quell’annaspare nel niente da cui ci distraggono i segni, ossia le voci fidate, i coriandoli al vento gettati, la grandine, il bel riflesso azzurrogiallo.

Si concentra, quindi, e si nomina in questa raccolta di Giorgio Bonacini un accadere che si struttura in dialogo e incontro di poli, un dialogo/incontro da cui scaturiscono una visione e una parola entrambe nude, che ci difendono e provano a salvarci, una salvezza che è però non assoluta ma rinchiusa in questo farsi ed essere difesa. “Si mastica l’acqua / per giorni e per notti / si guarda all’insù / con la mente / racchiusa in un cielo / che sembra / portare con sé / ininterrotti lumini/ litigi impediti / da sbuffi / e acquerugiole fatte / di gocce e stantuffi”.

 

Silvia Comoglio

 

 

Giorgio Bonacini, I segni e la polvere

52 poesie distrattamente felici

Arcipelago Itaca, Osimo, 2020, pp. 64, € 12,50


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