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Maria Paola Forlani. Raffaello 1520 – 1483
08 Giugno 2020
 

In occasione delle celebrazioni mondiali per il quinto centenario dalla scomparsa di Raffello Sanzio, Roma, la città che ne ha sancito l’affermazione artistica, non poteva che dedicare all’Urbinate una Mostra, allestita negli spazi delle Scuderie del Quirinale, che mettesse in luce il valore universale dell’arte del genio del Rinascimento; un gusto, una tecnica ed una delicatezza pittorica e compositiva rimasti per quattro secoli quali basi indiscusse del canone artistico occidentale.

Un racconto in chiave monografica incentrato sulla vasta produzione artistica di Raffaello: dalle arti plastiche a quelle decorative, dall’antiquaria, dall’architettura spingendosi sino all’urbanistica. Un percorso espositivo a ritroso che prende il via dalla morte di Raffaello a Roma e dalla sua sepoltura nel Pantheon proseguendo fino ai primi passi nel mondo dell’arte del giovane, prima nella casa natale, poi nella bottega di Pietro Vannucci detto il Perugino.

Il 6 aprile 1520 quando il genio Urbinate muore dopo otto giorni di febbre “continua e acuta”; nello stesso giorno in cui nacque, Raffaello Sanzio lascia un vuoto che echeggia in tutte le corti italiane. Un compianto a cui si uniscono umanisti, committenti ed antiquari; l’artefice rapito al mondo nel fiore degli anni tra lo sconcerto generale per un evento così inatteso, a tre giorni dalla Pasqua di Resurrezione.

Il giorno successivo alla sua morte, Raffaello viene tumulato al Pantheon; come da lui auspicato, accanto alla sua tomba, viene posta una lapide in memoria della sua promessa sposa, Maria Dovizi da Bibbiena, anch’essa morta prematuramente.

La perdita del sommo artista è citata dal Letterato veneto Marcantonio Micheli (Venezia, 1484 – Venezia, 9 maggio 1552) nel suo diario; una mancanza avvertita anche nell’interrompersi di un importante progetto, la ricostruzione scientifica della pianta di Roma antica realizzata partendo dal rilievo delle rovine visibili che avrebbe successivamente riscattato dall’oblio la grandezza della capitale dei Cesari.

Una ricostruzione grafica già citata nella Lettera a Leone X scritta nel 1519 a quattro mani da Raffaello Sanzio e Baldassarre Castiglione; uno scritto rimasto anch’esso incompiuto, ma giunto ad oggi in diverse redazioni. Una testimonianza cruciale del pensiero dell’Urbinate; una confessione che si può considerare un avvio della moderna concezione di tutela e conservazione dei monumenti. Questa, suddivisa in tre parti ideali, premeva sulla necessità di non distruggere le opere, ma preservarle e studiarle; una seconda parte era dedicata ad una panoramica della storia dell’architettura e alle diverse modalità di edificare; a chiusura della missiva, l’importanza del rilievo grafico dei resti monumentali di Roma.

Un artista morto all’apice della sua fama; eletto da ben due pontefici, papa Giulio II e papa Leone X, degno di fiducia tanto da ricevere i compiti più significativi nella corte pontificia. Una storia fatta da personalità di spicco in gara nel contendersi il pittore di Urbino, per commissionargli dipinti.

Ed è proprio grazie al papa che Raffaello giunge a Roma stazionandovi dal 1509 al 1520; qui l’artista esprime tutto il suo talento raggiungendo l’apice del successo. Dopo un periodo a Firenze, l’Urbinate approda alla Capitale su chiamata di Giuliano della Rovere, papa Giulio II, che ambizioso mecenate della modernità, vuole raccogliere a sé i migliori artisti del tempo nomi tra i quali troneggiano Michelangelo e Bramante. Un momento di fermento artistico grazie al quale, tra scoperte archeologiche, decorazione della Cappella Sistina e lavori per la nuova Basilica di San Pietro, Roma riesce a strappare a Firenze il testimone della supremazia artistica. Una fucina di cui Raffaello diviene l’indiscusso protagonista; un’effervescenza culturale che vede l’urbinate lavorare per committenti privati, pur proseguendo sia le ricerche iconografiche sul tema della Madonna con Bambino, che le attività in Vaticano. Un lavoro quest’ultimo che impegna Raffaello fino alla morte, passando di commissione in commissione, di papa in papa; alla morte di Giulio II è infatti Leone X a commissionare all’artista gli affreschi che illustrano famosi episodi di precedenti papi con il nome di Leone.

Leone X, secondogenito di Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico, è un papa colto ed amante delle arti; gli anni del suo pontificato sono per Raffaello la santificazione a più grande artista vivente. Capace di operare in tutti i generi, l’Urbinate è impegnato dalla pittura sacra alla decorazione profana, dai cicli pittorici di portata monumentale ai piccoli dipinti realizzati per collezioni privati. Una frenesia che porta l’artista di Urbino a circondarsi di giovani allievi e collaboratori; le sue opere iniziano così a diffondersi in Italia, spingendosi sino ad oltre confine.

Raffaello è a Siena quando gli giungono gli echi delle straordinarie novità artistiche di Leonardo e Michelangelo. Ed è Firenze la terra che il giovane Raffaello sceglie per approfondire la sua tecnica artistica lasciando così la terra marchigiana; a suggellare questo evento la Dama col liocorno (1504 – 1505), ritratto di cui rimangono ignote identità e committenza rappresentante una promessa sposa individuabile dalla presenza del cagnolino che tiene in grembo, ed il Sogno del cavaliere (1504) rappresentante il semidio al bivio tra vizio e virtù.

Quella in cui sbarca Raffaello è una Firenze in forte fibrillazione artistica (autunno 1504); Leonardo, Michelangelo, una città che pullula di artisti di talento; ma non solo: qui il Pittore di Urbino può approfondire lo studio dei maestri del Quattrocento (Donatello, Masaccio). Ed è proprio in questo clima che l’urbinate inizia ad allontanarsi dai modelli del Perugino avvicinandosi ad una monumentalità fusa con la naturalezza propria degli stilemi vinciani.

Tra i capolavori del periodo fiorentino spicca sicuramente La Deposizione (1507), opera commissionata da Atalanta Baglioni: una composizione che attinge fortemente dallo studio dei sarcofagi antichi, realizzata per commemorare i fatti di sangue che avevano portato alla morte Grifonetto, figlio di Atalanta, e destinata alla chiesa di San Francesco al Prato di Perugia.

Lo Studio di una mano e di un volto tracciati a stilo nera (1497 – 1499) rappresentano la prima opera di Raffaello Sanzio; un primo passo nel mondo dell’arte di quello che sin da adolescente promette di essere un genio. Unico figlio di Giovanni Santi, pittore, e di Maria Battista di Nicola Ciarla, Raffaello nasce in una Urbino che irradia oltre confine gli ideali del Rinascimento. Ed è per mezzo del padre e dei suoi contatti con Palazzo Ducale di Urbino che il giovane ha modo di studiare le opere di Piero della Francesca, Antonio Pollaiolo e molti altri. Nella bottega paterna Raffaello apprende le prime nozioni dell’arte: sminuzza pigmenti, compone i colori, realizza quelle che forse sono le sue prime opere, proprio all’interno della casa natale.

L’Urbinate ha solo 11 anni quando perde il padre; troppo presto per andare a bottega; ma questo non ferma la sua determinazione. Si propone, infatti, a Pietro Vannucci detto Perugino, il quale lo accoglie nella sua bottega ben contento di avere un nuovo apprendista. Ma il giovane Raffaello si dimostra presto ben al di sopra del Maestro; è il 1504 quando, dopo ormai tre anni nella bottega del Perugino, all’urbinate viene commissionato l’incarico di dipingere lo Sposalizio della Vergine per la chiesa di San Francesco a Città di Castello. Un’opera ispirata alla analoga pala realizzata dal Perugino per il Duomo di Perugia; un affronto per il Maestro che deve però riconoscere l’abilità del giovane allievo. Un trionfo di morbidezze in cui le figure si muovono con naturalezza nello spazio, rompendo gli allineamenti, giocando con forme concave e convesse. Solo una delle prime prove artistiche di quello che sarà nei secoli un genio del Rinascimento.

 

M.P.F.


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