Uno degli argomenti sollevati per criticare Silvia, e i volontari delle ONG in genere, è che non devono andarsi a ficcare in luoghi pericolosi perché se lo fanno sono degli incoscienti. E poi noi paghiamo.
Si può certamente discutere il principio, se però si amplia il concetto di pericolo, e relativo possibile costo per la collettività, a tutte le situazioni insidiose nelle quali noi esseri umani ci buttiamo con gioia e sincera partecipazione.
Mi riferisco agli innumerevoli sport estremi che vengono praticati sia per il fascino di sfiorare il confine tra la vita e la morte, sia per fare soldi, sia per il gusto della celebrità.
Questi sport causano, ogni anno, centinaia di interventi delle diverse unità di soccorso che a volte salvano vite e a volte recuperano cadaveri. Ognuno di questi interventi costa parecchio e, inoltre, mette spesso a repentaglio anche la vita dei soccorritori.
Vogliamo proibire di scalare le montagne, attraversare in solitaria gli oceani, buttarsi con il paracadute, fare torrentismo o immersioni subacquee?
Certamente no, per quanto mi riguarda.
E quindi massima libertà per tutti di scegliersi impegni umanitari e passatempi.
Dimenticavo la questione dei riscatti. È una partita di giro. Recuperiamo tutto, abbondantemente, vendendo noi le armi che i terroristi adoperano.