Le grandi epidemie hanno ispirato grandi artisti sia nell’antichità che in tempi moderni.
Tra le opere più significative che raccontano la paura dell’umanità di fronte alle emergenze è senza alcun dubbio Il Trionfo della Morte di Bruegel. Pieter Bruegel il Vecchio dipinge questo famosissimo quadro nel 1562 circa. Si tratta di un olio su tavola (117 x 162 cm). Nel quadro troviamo tutti i temi iconografici medievali: la danza macabra, i cavalieri dell’Apocalisse, la resurrezione dei defunti. Evidenti anche i riferimenti alle opere di Bosch come la descrizione del supplizio degli orgogliosi.
L’opera mostra il trionfo della morte sulle cose del mondo, simboleggiato da un grande esercito di scheletri che devastano la Terra. Sullo sfondo appare un paesaggio brullo in cui si svolgono ancora scene di distruzione. In primo piano la Morte di fronte ai suoi eserciti su un cavallo rossastro, distrugge il mondo dei vivi, che vengono condotti in una grande bara, senza speranza di salvezza.
Segue L’affresco di Palazzo Sclafani a Palermo. Il Trionfo della Morte è anche il titolo di questo straordinario affresco (600 x 642 cm) quattrocentesco di autore ignoto che originariamente si trovava sul muro a sud di Palazzo Scafani a Palermo. Nel 1944, miracolosamente sopravvissuto alle bombe della Seconda Guerra Mondiale, l’affresco è stato diviso in quattro porzioni e riposizionato alla Galleria Nazionale di Palazzo Abatellis dove si trova tuttora.
Così ne scrive Gesualdo Bufalino in Diceria dell’untore: “Fuggimmo, ce ne andammo senza meta, evademmo in tassì dal gomitolo di straducce, scansando, non si sa mai, quel che restava di Palazzo Sclafani, e l’affresco che parlava di noi, se era sopravvissuto alle bombe, con l’amazzone senza naso, armata di frecce, galoppante in trionfo su un’ecatombe d’illustri e d’oscuri”.
Si pensa che quest’opera sia valsa da ispirazione per la realizzazione della Guernica di Picasso.
L’abito del medico della peste. In questo disegno del 1656 ecco rappresentato l’abito del medico della peste. L’abito era costruito da una sorta di tonaca lunga fino alle caviglie, un paio di guanti, un paio di scarpe, un bastone, un cappello a tesa larga e una maschera a forma di becco dove erano contenute essenze aromatiche quali fiori secchi, lavanda, timo, mirra, ambra, foglie di menta, canfora, chiodi di garofano, aglio e, quasi sempre, spugne imbevute di aceto e paglia, che agivano da filtro.
Così lo racconta un poeta del XVII secolo
«Come si vede nell’immagine
a Roma i medici compaiono
quando sono chiamati presso i loro pazienti
nei luoghi colpiti dalla peste.
I loro cappelli e mantelli, di foggia nuova,
sono in tela cerata nera.
La nobiltà del loro mestiere, ovunque vadano».
L’uso di questo abito – comprensibile non molto amato dalla popolazione – cadde in disuso nel XVIII secolo.
Arnold Böcklin, Peste, 1898. Pittore, disegnatore, scultore e grafico svizzero, Arnold Böcklin è uno dei maggiori esponenti del simbolismo tedesco. La peste è un dipinto a tempera (149 x 104 cm) oggi in mostra al Kunstmuseum di Basilea. È un esempio dell’ossessione dell’artista per gli incubi di guerra, pestilenza e morte. Il dipinto mostra la Cavalcata della Morte su una creatura alata simile a un pipistrello, che viaggia per la strada di una città medioevale.
La peste è resa principalmente usando sfumature di verde pallido, un colore spesso associato alla decomposizione.
Egon Shile, La Famiglia, 1918. Si tratta di uno degli ultimi quadri del pittore e incisore austriaco. La figura maschile del dipinto è la raffigurazione dello stesso Egon Schile, che si rappresenta in un autoritratto proiettato nel futuro perché la moglie dell’autore, al momento del dipinto, era incinta.
Inizialmente il titolo di questo dipinto era Coppia accovacciata, dopo la morte della moglie Edith, incinta di sei mesi, e di Schile, entrambi morti nel 1918 di febbre spagnola, al quadro venne conferito il titolo La famiglia.
Nel corso del tempo, insomma, tutto è sospeso, un po’ come nei versi di Osip Mandelstam: “Che ora è? Gli chiesero i curiosi/ e lui rispose: È l’eternità”. Oppure come nella Terra desolata di T.S. Eliot (Phelebas il fenicio, morto da quindici giorni/ dimenticò il grido dei gabbiani, e il fondo gorgo del mare/ E il profitto e la perdita”), dove il poeta ci chiama “Gentili o Giudei”, come se vivessimo anche noi nel Mediterraneo del I secolo dove ci sono ancora i Fenici, perché Phebas, una sorta di imprenditore dell’epoca, è annegato solo due settimane prima. Otto Dix che, dopo essere stato al fronte, sosteneva che la guerra non era opera dell’uomo ma del diavolo, nel suo celebre trittico del 1929.1932 dipinge una battaglia del 1916-1918, con mostruosi soldati bardati di maschere antigas, su uno sfondo apocalittico.
Keith Haring, Ignorance = Fear, 1989. La grande paura del coronavirus è stata rappresentata dall’Aids. Nell’opera di Keith Harig, l’artista mette in guardia dall’ignoranza che genera la paura, da questo silenzio di morte.
Il quadro fu realizzato prima che l’autore venisse a conoscenza di aver contratto l’Hiv che nel 1990 lo uccise a 31 anni.
M.P.F.