Una società che dà valore alla produttività, alla velocità, alla giovinezza, all’efficienza, all’individualismo competitivo ed esasperato, al cambiamento costante di gusti e di opinioni non può che tendere a escludere, in modi a volte subdoli e sottili, chi non riesce ad adeguarsi ai valori dominanti. Vengono così emarginati gli anziani, i deboli, gli inutili, e tutti coloro che non producono ricchezza. A parte i pochi privilegiati che, per reddito, cultura e salute occupano un ruolo preminente nella scala sociale, la maggior parte degli anziani vive una penosa condizione di invisibilità, di mancanza di potere, di emarginazione.
Saverio Castanotto, voce significativa nel pensiero della cultura siciliana del nostro tempo, autore di opere teatrali, affronta il problema nel romanzo La casa degli inutili* dando un’ulteriore prova del proprio impegno costruttivo volto a elaborare una precisa idea della letteratura e della sua fondamentale esigenza di libertà.
Letteratura intesa soprattutto come “vita”, ma che diventa “politica” nel momento in cui l’Autore si propone di dare voce a chi è senza voce: gli emarginati, i vinti, gli ultimi.
Su tutti, però, domina la saggezza dell’anziano professor Giovanni, collocato dalla figlia in una casa di riposo dove, con il coraggio dell’intellettuale ironico e sottile, continua a esprimere concretamente il suo singolare amore per la vita e per l’umanità tutta, anche quella disastrata.
Per la violenza del colore, le scene surreali, la crudeltà di molte vicende narrate, il romanzo si potrebbe accostare al neorealismo o ad alcune atmosfere che rievocano ora Pirandello ora Kafka, quasi in un continuo alternarsi di duro realismo e di visione allucinante.
La casa per anziani descritta da Castanotto accoglie un mondo di relitti, all’estremo limite dell’umano, e mentre si evocano zone crepuscolari della nostra società, consumista e materialista, si offre al lettore l’occasione per allargare la visione universale della condizione umana e il sentimento generale della pena di vivere.
Come nei suoi lavori teatrali, Castanotto è riuscito a raccogliere, rileggere e ripresentare un pezzo di storia della nostra Sicilia e delle sue trasformazioni nell’ultimo sessantennio. Attraverso uno sguardo fermo, acuto, ora ironico ora beffardo e pungente, vengono narrate le vicende paradossali o grottesche di personaggi reali o fantastici, calati sempre nel ritmo della quotidianità; storie di povera gente allargate fino a ricostruire la fame patita quando c’era la guerra e si soffriva… la gente si mangiava anche i gatti… quando lavarsi era un lusso…
Storie che si snodano attorno ai temi di fondo: la vita e il mistero, la storia e l’eterno, il presente e la speranza.
Un romanzo intenso, fondato su una memoria perduta, dimenticata, nascosta, ma appunto per questo necessaria. Un libro sulla miseria di tanta parte della popolazione del Sud, ma anche sulle piaghe provocate dalla ricchezza di oggi, a tutte le latitudini, chiave di lettura per fenomeni del mondo presente. Non mancano poi le pagine attraversate da genuina vena poetica nella modulazione di un estro sollecitato dal pensiero meditativo e dall’introspezione, sempre risolto nel libero gioco della fantasia e in una fresca resa espressiva.
La scansione narrativa, le sospensioni e le digressioni, le descrizioni, le diverse storie che s’intrecciano, compongono in certi momenti una sorta di sceneggiatura: Nicola, Palumbedda, Lella, don Micio, Gelindo, le sorelle Rosa e Celeste e tanti altri sono raccontati attraverso gesti, toni, movenze. Chi legge segue come attraverso una macchina da presa e “vede” primi piani e sequenze lunghe senza stacco, “ascolta” dialoghi perfetti.
Al di là del suo valore letterario e antropologico, il romanzo di Castanotto lascia un messaggio certo: bisogna ripensare a una nuova organizzazione di vita e a una più efficace educazione per i giovani, i quali dovrebbero imparare a scoprire ed esaltare la funzione preziosa della terza età in una società che tende a proporre come modello solo il giovanilismo e il vitalismo levigato della pubblicità.
In un articolo pubblicato tempo fa da una rivista medica divulgativa si riportava la seguente considerazione della scrittrice austriaca Marie von Ebner-Eschenbach (1830-1916): In gioventù si impara, nella vecchiaia si comincia a capire. Diventare anziani significa diventare capaci di vedere. Il valore delle cose e dell’uomo si può valutare quando si diventa anziani.
Giuseppina Rando
* Saverio Castanotto, La casa degli inutili, Bastogi Editrice Italiana, Foggia, 2007.
(“Emarginazione” è tratto da: Giuseppina Rando, Le belle parole, Scrittura Creativa Edizioni, Borgomanero 2013)