Lo si nota nei social, ma anche nella vita reale. Vi sono molte persone nella cui psiche si sono attivati, a causa dell’ansia provocata dalla pandemia in corso, particolari meccanismi di difesa, vere e proprie forme di involuzione o regressione. Queste persone vivono ormai le mura di casa e la quarantena come una situazione rassicurante, un guscio emotivo che ricostruisce uno stato precedente al coronavirus, che funge da riparo contro la frustrazione e la paura dell’ambiente esterno. Nelle loro menti, grazie alle misure anti-contagio, i problemi e le responsabilità quotidiane si sono risolti in un sol colpo, tanto che si sentono calate in una dimensione rasserenante. Sentono di aver recuperato il loro ruolo in famiglia, che finalmente appare unita, non distratta da ciò che sta fuori dal guscio. Provano sollievo, perché tutto ciò che sembrava loro irrealizzato, immaturo, ora appare compiuto. Un mondo chiuso e inseparabile, dunque perfetto, al contrario di ciò che sta all’esterno, con la sua carica ostile, imprevedibile, altra.
Questo atteggiamento nevrotico conduce il pensiero a uno stato della mente più antico, a postazioni difensive arcaiche. Così chi “esce senza mascherina” assume agli occhi di queste persone un’aura irresponsabile, disgregativa. Chi fa running o corre in bicicletta è un “untore”, che attenta all’integrità del nuovo mondo, un mondo che finalmente ha regole precise, confini precisi. E anche relazioni precise in cui ogni individuo torna a far parte di un’organizzazione familiare gerarchica. Al di fuori del guscio, niente è degno di fede, perché l’estraneo è portatore di virus e disvalori; un estraneo che si moltiplica e appare ovunque: riempie le strade cittadine, non rispetta le distanze di sicurezza, si assembra nello spazio pubblico e in quello naturale (parchi, spiagge, sentieri), attenta contro le nuove leggi del nuovo mondo. Come superare tutto questo? Ci vorrà molto tempo e per alcuni non basterà l’autoanalisi, ma servirà l’aiuto di specialisti.
Roberto Malini