Avevo solamente dodici anni, ma mi ricordo benissimo quel 28 aprile del ’45, allorché Sondrio si svegliò con speranza e trepidazione in attesa dell’arrivo dei partigiani. Le notizie che arrivavano dalla radio, dalle case, dalle parole della gente lasciavano presagire come imminente la liberazione della città. Noi ragazzini, nonostante l’ammonimento dei genitori, eravamo elettrizzati e costantemente in giro per non perderci l’evento. Qualcuno diceva: “Sono alla Sassella”, “No”, rispondeva un altro “Vengono su da Albosaggia”. Diversi affermavano che erano già a Mossini, mentre c’era chi addirittura li aveva visti scendere da Colda. Perciò Toni, Bruno, Giovanni ed io scorrazzavamo per ogni via, attenti a tutti i segnali. Talvolta s’imboccavano strade diverse, e così ci si perdeva, per ritrovarsi magari subito dopo, sempre con nuove informazioni raccolte nel nostro frenetico girovagare.
Un po’ stanchi per i continui, repentini spostamenti, quasi non ci accorgemmo che, ad un tratto, un uomo armato, uno solo, aveva preso possesso della piazza Garibaldi. Era il primo partigiano che vedevamo. Magro, pallido, ricciuto impugnava una mitraglietta nera a noi sconosciuta. Era Enrico Riatti, nome di battaglia “Stringa”. Si guardava intorno con circospezione, ma con calma assoluta. Sembrava attendere qualcuno. Si piazzò tra il caffè della Posta e il monumento a Garibaldi. Dopo poco arrivarono altri partigiani, e poi altri, ed altri ancora. Col cuore in gola li vedevamo scendere dalla Valmalenco, venire su da via De Simoni, traversare il ponte di piazza Garibaldi, ed avviarsi verso il Castel Masegra, dove si erano asserragliati i fascisti. Erano tanti! Li seguirono diverse decine di civili armatisi presso la caserma dei carabinieri. Del tutto svanite le ronde delle camicie nere, quelle che con passo cadenzato ci avevano tediato nell’attraversare le vie della città. cantando, con vero masochismo, una lugubre canzone che diceva quanto la popolazione pensasse di loro: “Le donne non ci vogliono più bene/ perché portiamo la camicia nera/ ci hanno detto che siamo da catene/ ci hanno detto che siamo da galera”.
Sentimmo una intensa sparatoria, che durò alcuni minuti. Poi, i fascisti si arresero senza combattere. Il tricolore riapparve in molte case. Sondrio era finalmente libera! Anche il sole, aprendosi un varco tra le nuvole, sembrava voler sottolineare la memorabile giornata. Ormai ero in giro da troppe ore. Chissà com’erano preoccupati i miei. Dovevo tornare a casa. Frastornato dagli eventi, mi avviai, sempre tentato di trattenermi ancora.
Fu solo in seguito che mi resi conto di quanto era successo: la guerra era finita! Finite le infami dittature del Terzo Reich e della Repubblica di Salò, con quel cumulo di morti e di orrori. Cessati allarmi, delazioni, persecuzioni, deportazioni, uccisione di innocenti, angherie e razzie d’ogni tipo. Tutto questo era finito. Per sempre. Il giorno seguente, e per molti giorni ancora, fu festa. E che festa! In ogni piazza, in ogni strada esplose la gioia irrefrenabile della cittadinanza, che si era stretta attorno ai “suoi” patrioti, chiamandoli per nome, abbracciandoli, baciandoli. Una gioia incontenibile, indescrivibile. Ovunque balli, canti, giochi, scherzi. Si erano liberate le coscienze, era ritornata, prepotente, la gioia di vivere. Si apriva un futuro radioso. La sera stessa la radio comunicò che Mussolini ed i gerarchi catturati a Dongo erano stati giustiziati! Era veramente finita!
Il sogno di quei giorni, in seguito, venne in parte stemperato dalla realtà concreta. Ma in pochi anni, tuttavia, la Resistenza rese possibile la Repubblica, la Costituzione, la pace. E un chiaro progresso economico.
A distanza di tanti anni, consapevole che solo un alto ideale aveva consentito le privazioni, i sacrifici, le sofferenze della lotta partigiana, avverto il bisogno di ricordare quelli che caddero per la conquista della libertà, i tantissimi che nel frattempo sono scomparsi, i pochi che per fortuna sono ancora tra noi, e dire a loro tutti una sola parola: grazie!
Sergio Caivano
Presidente onorario Anpi/SO