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Aiutiamo i nostri figli, ma non con la psichiatria
28 Gennaio 2007
 

Ho letto in questi giorni con molto interesse su di un quotidiano nazionale (Metro, 17/01/07, pagina 19) l’articolo del dottor Marco Lombardozzi, dal titolo: “Sedativi ai bimbi? Meglio l’amore”. Ad un certo punto egli afferma quanto segue: «…un bambino può essere distratto, disattento, iperattivo, per un numero illimitato di motivi, e non per questo ciò è patologico, o non per questo il bambino è malato psichiatrico, ci dobbiamo sempre domandare perché quel bambino si comporta così invece di incollare sulla sua fronte, immediatamente, l’etichetta di malato, e da qui allo psicofarmaco il passo è brevissimo».

È proprio così! Condivido pienamente le considerazioni del medico. Purtroppo quello che si sta verificando nelle nostre scuole italiane di ogni ordine e grado è il ricorso indiscriminato a Progetti psichiatrici, gestiti da psicologhe, psicopedagogiste, logopediste e neuropsichiatri infantili; questi Progetti vengono presentati ai genitori nelle assemblee di classe come “la panacea”, cioè come Progetti aventi lo scopo di monitorare, prevenire, diagnosticare ed infine intervenire sui “disturbi dell’apprendimento”.

Ma quello che in realtà invece succede è il fatto che i bambini vengono sottoposti a questionari d’indagine, a test, a uno screening di massa, come se lo Stato decidesse dall’oggi al domani che tutti i cittadini italiani devono fare un esame del sangue per stabilire la presenza o meno di una malattia, però una reale malattia fisica! Qui ci troveremmo di fronte ad un regime totalitario: lo Stato non può farlo.

Come mai nelle scuole invece questo sta succedendo?

Questi test non sono supportati da nessuna base scientifica, ma ruotano intorno unicamente ad un punteggio, ad un criterio unicamente soggettivo, che stabilirà se un bambino è affetto da ADHD (“sindrome” ancora tutta da chiarire e che sta dividendo la comunità scientifica), da disturbo della matematica, del linguaggio o quant’altro, con la grave conseguenza che oggi in Italia ci sono già circa 34 mila bambini affetti da nessuna "reale malattia", ma che sono in cura psico-farmacologica nei Centri di Riferimento.

Queste sono alcune domande a cui le insegnanti di scuola materna rispondono osservando il bambino di 5 anni: Segue abitualmente le istruzioni e le regole che gli vengono date? Si adegua facilmente alle nuove situazioni? Ha una buona coordinazione generale dei movimenti? Capisce il significato delle parole che l’insegnante usa? Riesce a imparare brevi filastrocche a memoria?...

E questa sarebbe scienza? Le possibili risposte vanno da 1. per niente/mai, 2. poco/a volte, 3. abbastanza/il più delle volte, 4/molto/sempre.

Qui le domande mi sorgono spontanee: quanto si intende per poco? 2, 3, 5, 10? Anche 10 potrebbe essere considerato poco rispetto ad esempio a 100. E per abbastanza? Chi stabilisce quando scientificamente un punteggio è basso o alto? Ai genitori vengono dati i Progetti nella loro interezza, o soltanto un foglio sommario di quello che fa comodo dire? Vengono informati su quali saranno le strategie didattiche ed educative intraprese sul bambino risultato “affetto da…”?

Qualora ciò non bastasse il bambino verrà mandato all’ASL di competenza per una terapia psico-farmacologica? Questo viene detto ai genitori? Viene spiegato cosa succede se loro si rifiutano di sottoporre il proprio figlio a questa terapia? Sono passibili di denuncia fino alla sottrazione dei figli?

Dal momento che la psichiatria non è parte del corpo docente, qualora entri per screening o osservazione durante, ad esempio, un laboratorio, a che titolo entra?

Nei test che linguaggio viene usato per il bambino? Non tutti i bambini hanno un bagaglio culturale uguale. Molto importante è anche il contesto socio-familiare in cui il bambino vive. E se il bambino sbaglia a rispondere perché non conosce il significato della parola?

Recentemente sono venuta a conoscenza di un fatto che mi ha lasciata completamente esterrefatta: una mamma, che ho conosciuto indirettamente, quando è andata alla scuola dell’infanzia di suo figlio per la valutazione del test a cui il bambino è stato sottoposto, la psicologa, di fronte alla richiesta della stessa di poter visionare il questionario, non le ha fornito le domande del test, non le ha voluto rilasciare il test e neppure l’ha potuto vedere. Ma non esiste forse la legge sulla trasparenza degli atti amministrativi, che è la numero 241, e, se non ho capito male, l’accesso ai documenti è escluso per quelli coperti dal segreto di stato, nei procedimenti tributari… Cosa ha voluto nascondere quella psicologa? Il bambino per fortuna non aveva problemi!

Se un malato esce da un ospedale dopo una degenza o se un semplice cittadino fa gli esami del sangue, gli viene rilasciata la cartella clinica e nel secondo caso il referto degli esami.

Ma ci ricordiamo quando eravamo noi ad andare a scuola? C’erano forse gli psichiatri ad insegnarci l’educazione e la didattica?

Aiutiamo i nostri figli, ma non con la psichiatria!

 

Antonella Marzaioli


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