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Gianfranco Cercone. “American honey” di Andrea Arnold
22 Marzo 2020
 

In un periodo come questo, di generale, forzata reclusione, un film è anche un modo per uscire almeno immaginariamente di casa, per tornare a respirare la libertà di muoversi in vasti spazi all'aria aperta, di viaggiare, di ritrovarsi allegramente in un gruppo di persone, di fare nuove amicizie, magari di incontrare nuovi amori.

In questo senso, un piccolo “antidoto”, appunto soltanto immaginario, all’opprimente condizione di vita in cui in tanti ci troviamo, può essere costituito dal film della regista inglese Andrea Arnold, intitolato American honey (letteralmente tradotto: miele americano), presentato nel 2016 al Festival di Cannes – dove vinse il Premio della Giuria –, mai distribuito nelle sale in Italia – anche forse a causa della sua lunghezza, in questo caso un po' sovrabbondante: dura circa tre ore – e approdato pochi giorni fa su Netflix.

Si racconta di una ragazza americana che appunto fugge di casa, da una situazione familiare contrassegnata da degradazione e da abusi; e si unisce a un gruppo di ragazzi, una compagnia di venditori porta a porta, itineranti, viaggiatori, uno dei quali – che lei aveva a lungo osservato, invaghita, in un supermercato – le aveva offerto, seduta stante, un contratto.

Li segue certo perché spera in una storia d’amore con quel ragazzo più grande di lei, ma anche perché quel gruppo di giovani, allegri, sensuali e disinibiti, profila ai suoi occhi un sogno di libertà e di avventura.

Ora, beninteso, il film di Andrea Arnold non idealizza l’ambiente in cui la ragazza si viene così a trovare, ma nemmeno ribalta le sue speranze in pure delusioni. Certo non nasconde che il ragazzo che le era sembrato, oltreché gentile, disinvolto e spavaldo, è anche meschino: per esempio si lascia asservire dalla giovane donne che dirige quella compagnia di venditori. Per vendere ricorre anche lui a bugie e a inganni. E i clienti sono a volte gretti, scostanti, o approfittano della loro ricchezza per indurre le venditrici a prostituirsi a loro.

Ma nonostante queste e altre negatività che la ragazza incontra e scopre, malgrado le crisi di sconforto che a volte la sopraffanno, il senso di solitudine che prova pure in quella bella compagnia, resiste in lei, e attraverso di lei per tutto il lungo racconto, quella fiamma di sensualità che l’aveva indotta al viaggio.

È raro trovare un film in cui una ragazza e un ragazzo si cercano, si avvicinano, poi si allontanano, si amano furiosamente e furiosamente si respingono, con motivazioni istintive, erotiche, rese altrettanto forti, evidenti, palpabili, come in American honey.

E se una morale si può ricavare dal film – che non sembra costruito in funzione di una morale, tanto, anche nello stile, è ondivago, imprevedibile, apparentemente aperto a ogni eventualità, proprio come devono essere le avventure – quella morale potrebbe essere che la libertà è certo drammatica, ma sicuramente vale la pena perseguirla.

Va detto che se la ragazza è molto bene interpretata dall’esordiente Sasha Lane, il ragazzo è interpretato con uguale efficacia da un attore più noto, che è Shia Labeouf.

Da vedere (su Netflix).

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 21 marzo 2020
»»
QUI la scheda audio)


 
 
 
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