Kent Haruf
Vincoli
Alle origini di Holt
NN Editore, 2018, pp. 264, € 18
Vincoli è il romanzo d’esordio di Kent Haruf (1943-2014), uno degli scrittori americani più apprezzati. Le sue opere sono state divulgate in Italia recentemente grazie a NN Editore e a Fabio Cremonesi che ne ha curato la traduzione.
Con il romanzo Il canto della pianura Karuf è stato finalista al National Book Award, al Los Angeles Times Book Prize, e al New Yorker Book Award. Con Crepuscolo, secondo romanzo della Trilogia della Pianura, ha vinto il Colorado Book Award. E con Benedizione è stato finalista al Folio Prize. Le nostre anime di notte è uscito postumo nel 2017.
Vincoli è stato pubblicato in Italia solo a novembre del 2018; è ambientato nel Colorado a Holt che alla fine dell’Ottocento era solamente un villaggio con qualche negozio. Per meglio comprendere la genesi delle vicende che via via si snodano nel romanzo è bene ricordare che nel 1862 Lincoln aveva promulgato un provvedimento (la Homestead act) secondo cui venivano assegnati, a chi ne faceva richiesta, 160 acri (65 ettari) di terra demaniale nelle terre selvagge al di fuori dei confini delle 13 colonie d'origine, dietro il preciso impegno da parte del richiedente di coltivarle e, qualora tale impegno fosse mantenuto, gli assegnatari divenivano legittimi proprietari. È questa la cornice storica che fa da sfondo alla narrazione assieme a quella naturale di un angolo sperduto del Colorado, una terra piatta, brulla, arida, appartenuta agli indiani, una maledetta distesa sabbiosa, con poche case.
Vincoli fa conoscere così le origini del paese “Holt”, analizzando nel dettaglio alcune vicende delle famiglie Goodnough e Roscoe sul tema dei legami familiari quando gli stessi vincoli di sangue non promuovono l’amore e la crescita fisica e morale di tutti i membri della famiglia ma, al contrario, diventano catene che soffocano e distruggono.
La voce narrante è quella di Sanders Roscoe, uno dei personaggi, testimone oculare del dramma che ha travolto la famiglia di Roy Goodnough (pioniere migrante alla ricerca di un pezzo di terra da bonificare e coltivare) e amico sincero dei figli di Roy, Edith e Lyman, rimasti orfani di madre, ancora bambini, in balia di un padre-padrone, gretto e crudele che riversa tutto il suo astio sui figli. Edith divenuta donna vede così sfumare la possibilità di amare, sposarsi e avere figli mentre il fratello Lyman, complice la guerra a Pearl Arbor, riesce a fuggire alle grinfie del padre.
Un romanzo forte dove ogni protagonista è percepito con tutta la sua personalità disarmante nella sua seppur costretta condizione vincolante, un romanzo dove si declinano le tematiche care all’autore: l’amore, la famiglia, la solidarietà tra fratelli, il sacrificio, la lontananza, l’abbandono, l’isolamento, la violenza che riveste i panni di quella tipica che si consuma nei luoghi domestici, il dolore per i sogni svaniti, per quella vita sfumata, per quel tempo passato che mai tornerà.
Edith è la figura che più risalta in questo romanzo corale, indimenticabile, vittima sacrificale sull’altare del “dovere” e di un vicolo di sangue che si rivela di morte.
Le descrizioni sono tutte brevi ma significative, in poche parole lo scrittore riesce a farci visualizzare un'immagine, sentire un odore preciso e avvertire il giusto suono.
Qualcuno ha scritto che i libri di Haruf hanno perfino un quid di pastorale, di bucolico; in verità le storie raccontate, molto dure, concrete e dolorose, soffocano l’incanto della natura nella sua smagliante bellezza primitiva.
Quello di Haruf è certamente uno stile inconfondibile, che spesso diventa poesia: (…) Il cielo era terso, luminoso, alto; le spighe di grano si erano gonfiate e imbiondite ed erano pronte per la mietitura...
Il tutto poi collocato in una “cornice noir” che crea nel lettore una lieve sensazione di trepidazione e attesa, perché chi legge viene preso da qualcosa di più intenso e coinvolgente.
Un romanzo che, pur avendo un ritmo di lettura veloce, dà spazio a intrinseche domande, come questa: “fino a che punto ha senso rinunciare ai nostri sogni e bisogni, per rispettare i vincoli che, spesso, noi stessi ci autoimponiamo?”
Ci si lascia avvolgere dall’atmosfera e ciò capita soprattutto quando si legge qualcosa di amaro e difficile da sopportare. Lo comprende bene il narratore:
(…) Ma verso la fine, mi ricordo di aver detto una cosa ingenua e sciocca come: Ma non è giusto.
(…) Certo che non è giusto. La vita non lo è.
(…) Quando conosci qualcuno da tutta la vita, cerchi di capire il suo punto di vista. E quello che non riesci a capire, lo accetti e basta. (…) Ero lì per darle una mano, per quanto potevo. Non toccava a me fare domande stupide su cose che non mi riguardavano.
Da qui la filosofia di base dell’autore: “raccontare i suoi personaggi senza giudicarli con profonda fiducia nella dignità dello spirito umano”. Un senso di fragilità e transitorietà della vita umana domina ogni fase di questa struggente storia che pur non manca di suscitare nel lettore sentimenti delicati, empatia e pietà.
Giuseppina Rando