“Dedalo dovete consolare, è lui che muore disperato. Io sono morto vicino al sole”. È con queste quattordici parole che Giorgio Galli nel suo Le morti felici canta e al contempo dipinge Icaro che muore felice perché vicino al sole. Canta e al contempo dipinge perché è così, nella fusione di ciò che è aereo con ciò che è corporeo, di occhi e anima, che si dice e si fa tangibile la vita che tocca il suo apice, e trovarsi, come Icaro, vicino al sole, vicino alla fonte di luce e calore per eccellenza, significa essere vita all’apice, quel canto del cigno in cui si compie ed è racchiuso tutto il senso di un’esistenza, tutto il senso dell’esistere. Ossia: è qui che si compie il volo, quello estremo, quello di Icaro, che abbracciando il bene, il bene dis/umano, del passaggio dalla vita alla morte, ritrova compiutamente se stesso, e ritrovandosi compiutamente si imbatte anche nel segreto dei segreti, in ciò che ha per nome felicità. Un volo, dunque, da mondo (terreno finito visibile) a mondo (ultraterreno infinito invisibile), un volo, quello di Icaro, che l’autore non si limita soltanto a cantare e a dipingere, ma in cui risiede e da cui è come se ricevesse un’investitura per diventare quel volo. Con una differenza. Che per Giorgio Galli il sole è la parola. E intorno alla parola tutto ruota e si gioca. Ne consegue così che le ali di Giorgio Galli sono la capacità di accogliere ogni parola nella sua esistenza e essenza, e il segreto dei segreti è liberare, della parola, luce e sostanza, farla vibrare e tornare alla sua libertà originaria, meglio, farle compiere quello stesso volo compiuto da Icaro.
Autore e parola si fanno dunque volo, un volo che ne Le morti felici rivela tutta la complessità del suo codice genetico. Volo come spiccare il volo. Volo come oltrepassare i confini. Volo come volo di ricognizione. Volo come punto di osservazione, occhio, che si amplia e spazia. E questo, il volo/occhio che si fa ed è ricognizione, arriva a spingersi nelle vite di Turoldo Wittgenstein Guarnieri o Walser fino a raggiungere quell’attimo che è coappartenenza di presenza e assenza, quell’attimo che testimonia lo scarto tra esserci ancora e non esserci più. Un attimo che è folgorazione e deflagrazione, che rovescia l’assurdo, e quel dramma che si chiama vita, in una soglia di senso e la scuote, questa soglia di senso, a tal punto da farne germogliare felicità pura. Una felicità che è coscienza, consapevolezza, del come e perché si è abitato la terra o voluto in ultimo abitarla. Una felicità che quindi si scopre essere sinonimo di libertà.
E ancora, sempre volendo restare ancorati al volo, c’è in Le morti felici uno speciale tipo di volo, un volo che è al contempo sincronico e diacronico. Sincronico per quell’attimo, per la folgorazione/ deflagrazione di cui si è detto e che accomuna i protagonisti del libro, e diacronico perché i protagonisti appartengono a epoche e civiltà diverse e lontane tra loro. Il volo diviene così dialogo, un dialogo che mette in relazione uomini vissuti in angoli di spazio e di tempo che per la loro distanza, specie quella temporale, non si sarebbe potuto pensare di trovare affiancati. Ma nel volo, quel volo che trascina ogni cosa fuori dall’ombra, tutto è possibile. E a sorreggere, a sostenere, questo “tutto è possibile” è la parola, il canto. Non a caso c’è in questo libro una particolare attenzione per cantanti e musicisti (Brel e Leonard Cohen, Perotino, Firkusny e Desprez, per citarne alcuni). Un’attenzione che ci rivela, certo, l’interesse e la passione di Giorgio Galli per la musica ma che è anche consapevolezza che è col canto e con le tonalità dell’anima che si costruisce la propria esistenza e che ci si può non appartare dalla felicità/libertà ma viverla come conoscenza e scoperta di sé, come quel γνῶθι σεαυτόν, nosce te ipsum, di cui greci e latini ci hanno parlato.
Un libro, Le morti felici, che ci pone dunque di fronte a noi stessi, che ci invita a domandarci quale sia il nostro attimo, l’attimo che dovremmo imparare a individuare, a scoprire, per fondare la nostra esistenza, per cercare di essere felici/liberi durante e non soltanto alla fine del nostro stare/abitare nel mondo.
Silvia Comoglio
Giorgio Galli, Le morti felici
Il Canneto Editore, 2018, pp. 111, € 10,00