Come è noto, la hybris – e cioè la superbia, l'arroganza, a volte spinta fino al limite di credersi potenti come un dio – era il difetto, la colpa, che macchiava l'eroe della tragedia greca, e che egli, come cieco, non riusciva a scorgere in se stesso, almeno fino a quando gli dei non lo punivano, facendolo allo stesso tempo tornare consapevole dei propri limiti umani.
Ora, questo antico schema narrativo viene applicato dal regista Gianni Amelio, nel suo film intitolato Hammamet, a una vicenda contemporanea: e cioè la caduta in disgrazia di Bettino Craxi, negli anni Novanta, dopo essere stato uno degli uomini politici più potenti d'Italia, in seguito all'inchiesta giudiziaria passata alla Storia con il nome di Mani Pulite; e il suo “esilio”, la sua latitanza, nella sua villa in Tunisia, ad Hammamet appunto, fino alla sua morte.
Amelio avvia il suo racconto quando Craxi è ancora in auge, e precisamente a partire dal 45° Congresso del Partito Socialista, di cui lui era segretario: dove, guarda caso, come effettivamente accadde, il suo volto, mentre pronuncia il suo discorso dal palco del Congresso, è ripreso in video e proiettato sopra il palco, su uno schermo a forma di triangolo: e il triangolo, si sa, è uno dei simboli di Dio.
Rievoca la tragedia greca, il dialogo che avviene poco dopo il suo applauditissimo discorso: con un personaggio che nel film si chiama Vincenzo, uno dei più fidati funzionari del Partito: il quale pallido, angosciato, chiama in disparte Craxi e gli riferisce delle indagini giudiziarie in corso sui libri dei conti del Partito, essendo egli consapevole degli ingenti finanziamenti illeciti che il Partito riceveva, e che ora rischiano di portarlo alla rovina. Ma come l'eroe tragico tratta i profeti di sciagure, Craxi, abbagliato dal proprio successo, minimizza, tratta con sufficienza, perfino con disprezzo, il suo funzionario: di certo egli è depresso perché la moglie lo ha lasciato. Ed egli ha forse la coscienza così adamantina da potersi ergere a giudice del Partito?
Ora, questo dibattito, così serrato, tra chi lo accusa e lui che si difende, prosegue anche ad Hammamet, dopo cioè che Craxi ha dovuto constatare quanto la profezia di quel Vincenzo fosse veritiera. Prosegue, e allo stesso tempo, in parte, si interiorizza. Si ha l'impressione cioè che Craxi non discuta soltanto con gli interlocutori che in quella villa vengono a trovarlo, ma anche con la propria coscienza morale, perché pur protestando le proprie buone ragioni (buone almeno per lui: tutti i partiti, sostiene, ricevevano finanziamenti illeciti. E un uomo politico dovrebbe davvero impantanarsi in questi dettagli, o non concentrarsi piuttosto sui fini ultimi della propria azione?), pur protestando tali ragioni, non sembra del tutto convinto nemmeno lui. E forse la sua punizione, più che la perdita del potere, è nell'impossibilità di sentirsi in pace con se stesso. Tanto è forte, e segreto, il suo senso di colpa, che quando penetra nella sua villa un ragazzo, il figlio di quel Vincenzo – una presenza per metà realistica per metà soprannaturale, come fosse un fantasma creato dalla mente sconvolta di Craxi – e lui comprende, o immagina, che quel ragazzo sia venuto per ucciderlo, per vendicare suo padre che era poi morto suicida, ebbene: lui è pronto a offrirsi inerme alla sua vendetta, come in cerca di un'espiazione. E il suo comportamento risulta spesso autodistruttivo.
Si sa che uno degli elementi della tragedia greca era il coro, un personaggio collettivo, spesso espressione di saggezza popolare. In Hammamet sembra per un attimo rievocarlo il gruppo di turisti che si stringe intorno a Craxi, quando lo riconoscono in Tunisia. Ma piuttosto che dei saggi, appaiono qui come dei fanatici giustizialisti, simili a quelli che a Roma gli avevano tirato addosso delle monetine. E abbietta appare l'Italia dei varietà, delle trasmissioni televisive di Mediaset, che deride, svillaneggia Craxi ora che è caduto in disgrazia. Mentre nel film di Amelio, al riconoscimento della colpa, è unita la pietas per l'eroe punito e vinto.
Si è giustamente lodata l'interpretazione che di Craxi offre l'attore Pierfrancesco Favino, che non è soltanto una magistrale mimesi esteriore, perché è evidentemente compartecipe del filo interiore, tragico, che Amelio ha individuato nella sua vicenda.
Si tratta di un film di alto livello, certamente da vedere.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 18 gennaio 2020
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