Itinerario
Arriviamo a Fraciscio che è già buio, così ceniamo e dormiamo alle Soste, accampati in un piccolo cenacolo d'abeti e betulle.
La notte passa tranquilla. Né freddo, né vento. Strano, è quasi novembre.
Ci svegliamo molto prima del sole e, rimesse le tende in macchina, c'incamminiamo lungo la pista sterrata (E) che costeggia il torrente Rabbiosa. Sempre sulla dx idrografica, dopo circa un chilometro, la strada si riduce a mulattiera, poi s'allontana dall'alveo del torrente. Alcune serpentine risalgono la scarpata settentrionale della valle e ci portano a una fascia rocciosa. La traversiamo verso E su una comoda cengia e, dopo uno strappetto fra pietre bagnate, sbuchiamo nella placida piana di Angeloga. Aggiriamo da sx la prominenza erbosa su cui è issato il Monumento ai Partigiani, ricordo dei partigiani che nell'aprile del '45 qui morirono per mano delle “Camicie Nere”.
Ed ecco il Rifugio Chiavenna (m 2044, ore 1), sipario di un simpatico paesino. Angeloga è l'eco d'una tradizione alpestre oggi irrimediabilmente scomparsa. Ci perdiamo in giudizi sulle minuscole baite. Alcune sono state ristrutturate con buonsenso, altre sono figlie di una modernità che non s'addice a queste quote. Speriamo non sia già in cantiere una carrozzabile a quattro corsie!
Del sole non c'è ancora traccia. Il vento sibila fastidioso e increspa l'acqua plumbea del laghetto. Lontano le cime cominciano a illuminarsi, ma la costiera dello Stella ci segrega all'ombra.
Traversiamo verso SSE. Costeggiamo il laghetto, poi ci innalziamo per alcuni crinali morenici. È tutto segnalato, nonché ovvio. La quota trasforma l'erba in macereti. Attraversiamo l'amplissimo bacino detritico che un tempo era la culla del ghiacciaio del Morteè. La vedretta è in forte ritiro e, come peraltro già previsto dal censimento glaciologico del 1990, smembrata in due apparati ben distinti: la misera falda centrale, alimentata dal canalone O, e una modesta lingua a S, parzialmente coperta di pietrisco.
Superate due scomode rampe pietrose, guadagniamo la cresta occidentale dello Stella, la cosiddetta “Cresta del Calcagnolo” (ore 2:30). Seguendo lo spartiacque (E, quindi N) c'inerpichiamo sui marciumi che portano alla croce di vetta (Pizzo Stella, m 3163, ore 1).
Una graziosa rosa delle cime, collocata a fianco della croce d'acciaio, permette di distinguere le principali elevazioni di Orobie, Retiche e Lepontine, nonché alcuni lontani 4000. La cresta N dello Stella è aguzza e tormentata da profonde incisioni e ardite guglie: lo Stellino, il Dente, il Pizzo Peloso, quindi una lunga striscia di blu: il lago di Lei. La neve caduta sulle quote maggiori accentua i colori dell'autunno, oggi ancor confinato oltre la linea delle latifoglie.
È l'una passata. Siamo quattro lucertole sotto la croce di vetta. Altre tre persone accanto a noi. Un tedesco monta un cavalletto enorme, poi estrae la la sua macchina fotografica ultracompatta, quasi invisibile se paragonata al piedistallo. Si fa qualche autoscatto. È una scena bizzarra, gli scoppiamo a ridere in faccia.
A novembre il sole tramonta presto, per cui ci diamo una mossa e, salutati Gioia e Nicola che torneranno dalla via di salita, attacchiamo la cresta N. Senza ramponi si scivola sul film di ghiaccio che ricopre le rocce, ma se li si mettesse si scivolerebbe sulle rocce perché non c'è abbastanza neve. Che fare?
Teniamo la cresta fino alla prima anticima, poi, laddove il crinale diviene più scosceso ci gettiamo negli erti colatoi sulla sx e, fra il fragore delle pietre che c'inseguono, raggiungiamo il ghiacciaio della Ponciagna, quasi cento metri sotto la cresta. La vedretta è molto ripida, specialmente nel suo tratto centrale. La affrontiamo con ramponi e prudenza tenendoci a ridosso delle rocce di sx, quindi, aggirata la prima anticima, traversiamo prossimi ad alcune golose crepacce. Di nuovo in cresta ci abbassiamo di qualche metro per tiepide rocce, quindi pianeggiamo fino all'ostile versante SO dello Stellino, ardito dente di pietra rossa e friabile.
Il tempo scorre inclemente fra le difficoltà dovute alle pessime condizioni del fondo. Dalla base dello spigolo SO dello Stellino imbocchiamo un ardito canalino detritico che ci porta ai piedi della parete S dello Stellino stesso. Sassi, frane e polvere. Siamo di nuovo sul ghiacciaio, pendenze lievi verso NE. Al successivo salto la lingua glaciale s'esaurisce e lascia il posto a ripidi e levigati salti rocciosi. Noi usciamo dal pianone glaciale sulla sx orografica e ci inventiamo una via fra il labirinto di terrazzini strapiombanti. Ci portiamo a ridosso della lingua e, entrati in una grossa fenditura fra roccia e ghiaccio, ci abbassiamo ancora di una ventina di metri fino a un primo ripiano. Un poggio pianeggiante lungo un centinaio di metri, poi di nuovo verticalità. Un labirinto fra terrazzini di roccia. Quanto tempo perso! Poi, finalmente, siamo ai due torbidi laghetti di disgelo che giacciono ai piedi del ghiacciaio (m 2470, ore 2:30). Colori buffi, così vicini e con due tonalità di verde così diverse. Chissà che succede all'acqua? Il lago di Lei, in cui si travasano i laghetti, è di un blu talmente puro e intenso che non sembra essere nemmeno loro lontano parente.
Pianeggiamo verso NNO e ci portiamo alla base del ripido colatoio a cui culmina il Colle Brasca. Con molta fatica lo risaliamo, quindi, sempre a cavalcioni dello spartiacque fra l'Angeloga e il Vallone dello Stella, arrampichiamo su roccia ed erba. Qualche passaggio è un po' esposto (III+). Forse esistono vie alternative, ma non abbiamo certo il tempo di cercarle. Alle 17 siamo sul Pizzo Peloso (m 2780, ore 1:30).
Accucciati sotto la striminzita croce di vetta (due assi di legno incrociate), rubiamo il calore degli ultimi raggi di sole. Attorno a noi regna la serenità alpina che annuncia il tramonto. Angeloga si corica sotto un velo d'ombra mentre una sinistra nebbiolina abbraccia tutto. Il vento sembra emulare le grida dei pastori che richiamano le bestie al crepuscolo. Eppure queste cose quassù non accadono più.
Sono le cinque e mezza, inizia la discesa. Dapprima la cresta è esposta e non banale, ma, per fortuna, una volta guadagnata l'anticima settentrionale, raggiungere il passo dell'Angeloga è una pura formalità (m 2391, ore 1:10).
Quindi il sentiero segnalato ci facilita la discesa e ci consente, dopo un ultimo sguardo ad Angeloga (ore 0:45), di correre fino alla macchina senza dovere accendere nemmeno i frontalini (Le Soste, ore 1:10). Ci precipitiamo al Panda temendo che gli altri si stiano preoccupando per noi...
Invece i nostri compagni, ritenendo poco originale scendere dalla stessa via di salita, avevano deciso di aprire un nuovo ed impegnativo tracciato che dalla Cresta del Calcagnolo s'insinua nella Val del Morteè. Poi attraverso rivoli e viscide cascate si abbassa incerto verso Le Soste.
È notte, siamo un po' in pensiero per la loro sorte, chissà dove sono. Saranno stati sbranati dai camosci?
Passa più di un'ora e, per fortuna, vediamo le deboli luci dei loro frontalini lampeggiare nell'alveo del Rabbiosa. “Eccoli!”
Gioia e Nicola parlano di muschi, licheni e maloss. Raccontano che alcuni folletti, simpatici quanto gentili, li avevano invitati a prendere il tè nella loro grotta. S'era fatto buio senza che loro se ne accorgessero. Perciò hanno tardato.
“Mica ci siamo persi!”
14 ottobre 2006