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Luciano Angelini. I “bārek” e il recinto di filo elettrico
'Barek' in alpeggio 'Pala', 'Tarten'* 
12 Gennaio 2020
 

Camminando su per gli alpeggi delle Alpi Orobie, è facile imbattersi in muretti a secco di pietre grezze di varie dimensioni, chiamati bàrek. Come ricami di pietra, i muretti si intersecano gli uni agli altri a formare recinti rettangolari o quadrati, solitamente non sono più alti di un metro e non più larghi di mezzo metro, non hanno fondamenta e racchiudono un’area che può variare da poche centinaia di metri quadri a qualche migliaia. I bàrek hanno sempre due aperture, dette zapèi1 di circa due metri ciascuna, di solito si trovano nei muretti trasversali opposti e vengono chiuse da pertiche quando si vuole imbaregà la malga.2 All’uscita del zapèl si ritrova il sentiero.

I bàrek sono stati fatti in un lontano passato per ricavare pascoli e delimitare il pascolo di un pasto per la malga, ma anche per tenere unito il bestiame in caso di stretēp.3 Oggi si preferisce utilizzare il recinto di filo elettrico: ‘il ricordo della dolorosa scossa toglie all’animale la voglia che ha di oltrepassarlo’.

Il sistema dei bàrek è utilizzato anche per ingrasà ‘l pàscul.4 La concimazione si ottiene facendo pernottare il bestiame per qualche giorno all’interno di ciascun bàrek già pascolato, poi col trèmpet5 si spande la grasa, il letame.

Ci sono poi anche pochi ma interessanti bàrek di forma circolare che, per l’esposizione al Sole e la posizione dominante sulla valle, fan pensare ad antichissimi luoghi sacri riservati ai riti; ad esempio in alpeggio Suna, in Ual Lema di Tartano, si trova un bàrek che, oltre ad avere le sopra dette caratteristiche, e a conferma della sacralità del luogo, racchiude al suo interno anche un grande masso-altare con incise numerose coppelle e canaletti.6

L’origine dei bàrek è ancora incerta, legata comunque all’antica pratica degli alpeggi.7

Il termine bàrek è diffuso tra i dialetti delle valli orobiche sia bergamasche che valtellinesi col significato di “recinto entro cui i pecorai ed i mandriani raccolgono i greggi e le mandrie”;8 e sembrerebbe di derivazione celtica, tanto è vero che, come riconosce il linguista Tiraboschi, nel dialetto parlato nella regione della Champagne, in Francia, il termine beric significa proprio “ovile”.9

Oggi si assiste ad un progressivo e sembrerebbe inarrestabile abbandono degli alpeggi, si preferisce tenere le mucche negli stalloni al piano in quanto, si dice, rendono di più, e li uaki i è inscì pečadi10 ke li fa fadiga a mȫues, gnā parlà de mandàli i mūt! E così i bàrek appaiono sempre più come costruzioni d’un mondo ormai dietro le spalle, come memorie di quella millenaria civiltà alpina di contadini pastori resa immortale dal genio creativo di Giovanni Segantini.11

 

Luciano Angelini

 

 

* Tarten, “tonante”o “figlio del tuono”, dal celtico taran(n), “tuonare”; tar, “tuono”, thegn, “figlio”; è il nome di Tartano che da sempre si tramanda dal dialetto.

1 Sing. ‘l zapèl, pl. i zapèi, dialetto di Tartano. Cfr. Giovanni Bianchini, Vocabolario dei dialetti della Val Tartano, Fondazione Pro Valtellina, 1994. Detto locale: “stupā ‘l zapèl, darucā la uaca”, come dire col Manzoni: “del senno di poi ne son piene le fosse”.

2 Imbaregà la malga o inbarekà la malga. Espressione dialettale che significa “mettere la malga nel bàrek”. Malga, non ha qui il significato che il sostantivo ha in italiano, di pascolo alpino, ma di bestiame bovino di un alpeggio. Il termine è usato in questo senso specialmente nella bergamasca e in Valtellina. Cfr. Vocabolario dei dialetti della Valtartano, cit. e Giovanni Bianchini - Remo Bracchi, Dizionario etimologico dei dialetti della Val Tartano, IDEVV, 2003. Stupà ‘l bàrek, chiudere le aperture del bàrek; destupà ‘l bàrek, togliere le pertiche che chiudono le aperture del bàrek; andà a bàrek, far entrare le mucche nel bàrek dopo il pascolo del mattino o quello della sera.

3 In italiano “forte temporale”, “pioggia molto abbondante”, “uragano”. Cfr. Vocabolario dei dialetti della Val Tartano, cit.

4 Concimare il pascolo.

5 Bastone grosso, un po’ appiattito e leggermente incurvato ad un estremo, che serve per spargere lo sterco delle mucche nei pascoli sugli alpeggi: viene afferrato con tutte e due le mani dalla parte sottile e dritta e, con la parte incurvata si colpisce con forza lo sterco della mucca, sparpagliandolo intorno. Cfr. Vocabolario dei dialetti della Valtartano, cit.

6 Il masso-altare di Suna, divinità femminile del Sole, ci riporta alla cultura della preistoria, ricca di simboli naturali e di religione ispirata al sentimento primitivo verso la Terra, considerata la Grande Madre. Le coppelle dovevano servire ai riti di fertilità; come non vedervi, infatti, rappresentato simbolicamente il grembo della Madre Terra che nell’accogliere l’acqua del Padre Cielo viene fecondata a rigenerare la vita; così come dovevano servire ai riti di espiazione e di riconoscenza, dove si versava il sangue dell’animale ucciso durante la caccia in offerta allo spirito totemico. La coppella sia per il numero che per la diffusione e la durata può ben essere assurta a simbolo di quella plurimillenaria civiltà legata alla Natura che affonda le proprie radici nel Matriarcato.

7 «L’antica origine degli alpeggi | Primordi

Prima del 4.000 a.C. l’uomo neolitico utilizzava i pascoli in modo saltuario. In seguito all’aumento dell’importanza dell’allevamento iniziarono a salire ogni anno su determinati pascoli le mandrie e le greggi delle tribù. Esse erano affidate ad appositi pastori consentendo agli altri membri del villaggio di dedicarsi a valle ai lavori agricoli. Era nato l’alpeggio. Tra la fine dell’età del rame e l’età del bronzo antico (2.200-1.600 a.C.) si accentuano i disboscamenti e migliorano le tecniche casearie, ma il peggioramento climatico rallentò questi sviluppi. Nell’età del ferro (iniziata verso il 900 a.C. e proseguita sino alla romanizzazione), la disponibilità di più efficaci strumenti di taglio e il miglioramento climatico portano a un nuovo sviluppo dell’alpeggio che assunse caratteristiche molto simili a quelle attuali. Appaiono costruzioni in pietra a secco e si perfezionano le tecniche casearie ormai vicine a quelle attuali. Le ricerche di Francesco Fedele hanno consentito di documentare la presenza di alpeggi in val San Giacomo (So) già verso il 3000 a.C.». (da Ruralpini > Alpeggi > Storia)

8 Vocabolario dei Dialetti Bergamaschi, 1873, di Antonio Tiraboschi (Alzano Lombardo, 30 luglio 1838 – Bergamo, 11 ottobre 1883; linguista e storico italiano. Le principali ricerche le effettuò sul dialetto bergamasco).

9 Da Adriano Gaspani, “Il barec del monte Avaro” (Osservatorio Astronomico di Brera).

10 Sing., pečàda, pronuncia c dolce; di bestia che ha un apparato mammario molto sviluppato e che produce molto latte (Vocabolario dei dialetti della Valtartano, cit.). Le mucche vengono geneticamente modificate per produrre sempre più latte, ma a discapito di salute e bellezza. O ingordigia umana! dove ci stai portando?

11 Sommo pittore in particolare del paesaggio alpino che dipinge con luminosità e trasparente profondità, utilizzando la tecnica che va sotto il nome di ‘divisionismo’. L'atto ufficiale che sancisce la nascita del divisionismo è alla Triennale di Milano dove, nel 1891 viene esposto il quadro Le due madri di Giovanni Segantini.

Giovanni Segantini nasce ad Arco il 15 gennaio 1858 e muore sul monte Schafberg il 28 settembre 1899, mentre dipinge la Natura, opera che con la Vita e la Morte forma la parte centrale del Trittico dell’Engadina, capolavoro ora al Museo Segantini di St. Moritz.


Foto allegate

Alpeggio
Due belle foto di Massimo Dei Cas: Tartano, alpeggio
Due belle foto di Massimo Dei Cas: Tartano, alpeggio
Giovanni Segantini e Giovanni Giacometti, ‘Le due madri’, 1899-1900 - olio su tela, 69×125 cm
 
 
 
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