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Marisa Cecchetti. “L’ora di Agathe” di Anne Cathrine Bomann
06 Gennaio 2020
 

Anne Cathrine Bomann

L’ora di Agathe

Traduzione dal Danese di Maria Valeria D’Avino

Iperborea, 2019, pp. 156, €15,00

 

Anni quaranta del secolo scorso, in un piccola città francese uno psichiatra settantenne prende atto delle visite che lo separano dal pensionamento e con entusiasmo le scala ogni giorno dal registro che la sua segretaria, silenziosa, efficiente, assolutamente non invasiva, tiene aggiornato per lui.

Non accetta pazienti nuovi, consapevole che questo tipo di cura richiede tempi lunghi che ormai lui non può più dedicare loro. I pazienti che segue da tempo ormai li conosce bene, sa delle loro manie e ossessioni e paure segrete con cui continuano a combattere, ormai li ascolta poco, interviene soltanto con qualche mugugno che dimostra la sua presenza dietro il lettino.

Abitudinario, vive da solo, al ritorno cerca la poltrona e la musica preferita, non intrattiene rapporti con nessuno fuori dall’ambulatorio, non ha amici né amore. Ma una presenza irrompe nella sua vita, una paziente nuova che infrange il divieto, Agathe, con un referto di tentato suicidio, di ricoveri, terapie invasive, contenzioni.

Partito quasi da una forma di resistenza all’imposizione, lentamente si lascia coinvolgere dalla personalità di Agathe, dolorosamente oscillante tra il desiderio ed il rifiuto della vita, fino all’autolesionismo. Intanto, mentre si accorcia la lista delle visite, lui prende coscienza della condizione di vuoto assoluto che gli si apre davanti e al tempo stesso lo spaventa l’idea della decadenza progressiva del corpo. L’assenza imprevista della segretaria, che deve stare vicina al marito gravemente malato, accresce la sensazione di abbandono e solitudine, tanto che il panico lo attacca improvviso e lo svuota di forze.

Ma Agathe è la donna di cui vorrebbe trattenere i profumo quando esce dalla sua stanza, che lo desta alla vita, alla scoperta dei sentimenti, mettendo a nudo, attraverso l’esame di sé, anche le fragilità e le paure, l’hortus conclusus dello psichiatra, da cui lui osserva con curiosità, ma senza il coraggio di fare passi ulteriori. In una forma di circolarità e di inversione di ruoli, paziente e medico si svelano e si aiutano.

Con lo stupore e la meraviglia di un bambino di fronte alla vita, lui si scopre di giorno in giorno sempre più disposto a fare gesti inconsueti di apertura, di presenza effettiva, con il coraggio di affrontare la paura più grande, quando fa visita a chi è vicino alla morte. È solo davanti a lui che confessa: -Io non ho mai amato nessuno-. E l’altro: -Non tutti abbiamo questa fortuna. Forse per lei sarebbe più facile morire-. Ma la sua condizione esistenziale sta nella frase conclusiva: -Forse. Ma mi è più difficile vivere-.

Romanzo di esordio della scrittrice danese, L’ora di Agathe, è un delicato percorso dentro la psiche umana, che strappa la maschera imposta dai ruoli e dalle convenzioni, sottolineando le nostre paure più profonde insieme ai bisogni fondamentali di ogni essere umano, dall’amore per se stessi, al bisogno di relazioni di amicizia, di affetto ed amore. I personaggi, protagonisti e non, delineati con tocchi magistrali, si intrecciano e si completano tra loro.

Dispiace tuttavia che, dopo una tensione narrativa mantenuta costante, questa si sciolga sul finale in modo troppo rapido e prevedibile, come se incalzasse la fretta di chiudere la storia.

 

Marisa Cecchetti


 
 
 
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