La monografia su Simone Forti all’Ica (Istituto contemporaneo per le arti) colma una grande lacuna: è la prima mostra istituzionale in Italia dell’artista sperimentale nata a Firenze nel 1935, americana d’adozione – si trasferì a New York nel 1959. Molti lavori che compongono la mostra milanese – disegni, acquarelli, video – sono inediti.
Simone Forti iniziò a ballare nel 1955 con Anna Halprin, che stava facendo un lavoro pionieristico nell’insegnamento e nell’esecuzione dell’improvvisazione della danza. Dopo quattro anni di studio di laboratorio e apprendistato nello studio all’aperto di Halprin nella zona della Baia di San Francisco, Simone si trasferì a New York City. Lì ha studiato composizione nello studio di Marce Cunningham con il musicologo / educatore di danza Robert Dunn, che stava introducendo i ballerini nelle partiture di John Cage. Iniziò così la sua associazione con Judson Dance Theater Group che rivoluzionò la danza a New York negli anni ’60.
Dalle sue prime danze e costruzioni minimaliste ai suoi studi sugli animali, animazioni di notizie e ritratti di terra, Forti ha lavorato con un occhio nella creazione di modi di dire per esplorare forme e comportamenti naturali. Negli ultimi quindici anni Forti ha creato e sviluppato Logomotion, una forma di danza / narrativa improvvisata in cui il movimento e le parole scaturiscono spontaneamente da una fonte comune.
Con le sue opere, Simone Forti contribuì all’ibridazione tra danza e performance (Tra i suoi “complici” Trisha Brown e ovviamente Merce Cunningham, del quale fu allieva a New York). Ne sono un esempio le due performance, entrambe del 1961, che sono state rimesse in atto durante la mostra milanese. In Huddle, un gruppo di performer dà vita a una sorta di “abbraccio” che simboleggia la laboriosa creazione di un organismo collettivo a partire dai singoli individui. Censor crea invece un’atmosfera di tensione e contrasto tra due persone: una scuote una pentola piena di chiodi, l’altra intona una nenia, cercando di farsi sentire nonostante il frastuono. L’esposizione testimonia tra l’altro anche il soggiorno romano dell’artista, quando prese spunto dagli animali dello zoo della capitale per acquarelli e movimenti coreografici. Tra gli altri lavori storici, quelli della serie Cloths, nei quali si produce una paradossale ibridazione tra scultura ed essere umano.
M.P.F.