I
Bussa bussa
scrocchia le tue nocche.
Tanto attesi
che s’ossidò la chiave
e la mia mano
fu colta da paresi.
Bussa bussa
che m’inebria il cuore.
Tanto attesi
che mi feci sorda
e solo suoni
m’escon dalla bocca.
Bussa bussa
che la porta si sfalda.
Il fabbro che la fece
è sotterrato
chi la commissionò
andò ramingo.
Bussa bussa
scalcia come ossesso.
La ruggine
son scaglie velenose
più non respiro
in questo buco fondo.
Bussa bussa
e porta almeno un fiore.
II
Là mi specchiavo
nella cornice scura
del tuo guardo.
All’ombra della forca
c’era il boia
accanto avevo un prete
che pregava
e un giullare triste
che rideva.
Attorno al palco
c’era tanta gente
e mercanti di droghe
sottobanco
e schiavi ignudi
tirati alla catena.
In mezzo al cielo
sfrecciavano saette
tamburi battevano
gli dei
cherubini danzavan
coi demoni.
Pascevano nei campi
calme le greggi
mirava il lupo
la tenera capretta
senza ferocia
senza tenerezza.
Cosparso d’acido
quello specchio osceno
corrosa ogni cosa
vi disparve
e mi tuffai nell’acqua
del ruscello.
III
Piangere
come Dioniso pianse per Ampelo
invertire potrebbe la rotta del destino
scompaginare l’ordine degli accadimenti
il corso stabilito delle ore.
Potrebbe un pianto vero
portare canto laddove v’è lamento,
la morte riassorbire che dondola dai rami
abbattere la porta del diniego.
Maria Lanciotti