Per chi vuole viaggiare nel tempo di Milano, la Mostra “Milano anni 60” che si sta tenendo a Palazzo Morando, in via Sant’Andrea 6, è assolutamente perfetta. Dopo averci illustrato la città d’acqua (2015), quella della guerra e della ricostruzione (2016), della mala (2017) e del cinema (2018), il curatore Stefano Galli e Milano in Mostra ci regalano (fino al 9 febbraio) un nuovo tuffo nella “città che fu” grazie a foto e oggetti che ci riportano in quell’incredibile momento storico che vide Milano capitale dell’economia, della cultura, del design, del cabaret. Di tutto, insomma. Pure di quella strategia della tensione che iniziò proprio qui, il 12 dicembre 1969, con quell’attentato di piazza Fontana che conclude la Mostra proponendo – in una voluta penombra – le immagini delle prime ambulanze, del trasporto dei cadaveri all’obitorio, della voragine provocata dall’ordigno, degli interni della banca, dei cappelli delle vittime, dei funerali che videro tutta Milano – sconvolta – in piazza Duomo.
Nulla sarebbe più stato come prima. L’Italia aveva perso la sua innocenza, se mai l’aveva avuta, e Milano quell’atmosfera che si era respirata dagli anni Cinquanta fino a buona parte dei Sessanta. Un’aria che la Mostra ci fa annusare partendo da un boom edilizio destinato a cambiare il volto della futura metropoli. Dalla periferia con il Gallaratese e la Comasina (i cui piani edilizi vengono presentati con dei plastici) al Centro Direzionale con i primi grattacieli, Milano era un enorme cantiere. Ma non solo dal punto di vista delle costruzioni: la foto del primo supermercato in viale Zara (1959), del bar Jamaica dove si stavano formando le cellule iniziali della controcultura, delle prime minigonne, ci fanno capire come il mutamento sarebbe stato anche sociale, profondo e irreversibile.
Milano si stava muovendo, come quelle che sarebbe diventate le vere padrone della città, le onnipresenti automobili che occupavano piazza della Scala, piazza Diaz, piazza Mercanti, stipate addirittura in un “parcheggio verticale” in via Torino. Auto per cui si stavano costruendo tangenziali e autostrade, dentro le quali ci si imbottigliava il primo d’agosto in esodi fantozziani. Come contrappeso, ecco la metropolitana, con la foto della discesa del primo convoglio di prova in piazza Castello (1962), dei lavori (proposti anche da Ermanno Olmi in Il posto), del vigile vestito di bianco in attesa sotto la stazione di Duomo, scelto come immagine simbolo della Mostra.
Però, il movimento a Milano era soprattutto di idee. Come dimostra la “casa” ricostruita nella Mostra con tanto di ingresso, studio, cucina e salotto arricchiti da oggetti di design firmati da Marco Zanuso, Gio Ponti, Gino Colombini… Oppure, la parte dell’esposizione dedicata ai protagonisti dell’arte e della cultura che avevano scelto la città come base per le loro creazioni. In quella Milano nasceva l’avanguardia di Lucio Fontana e di Piero Manzoni, abitava la grande letteratura con Montale (in via Bigli 25) e Quasimodo (in corso Garibaldi 16), Buzzati (in via Veneto 24) e Bianciardi (in via Domenichino 2). E se andavi sui Navigli, in qualche osteria ti potevi imbattere in Elio Vittorini, che viveva in via Gorizia 22.
Di sera, negli anni Sessanta, chi usciva aveva solo l’imbarazzo della scelta. Oltre ai numerosi cinema e al Piccolo Teatro con i suoi spettacoli leggendari (come la Vita di Galileo), la città offriva una serie interminabile di luoghi che la Mostra ci ricorda insieme a chi ne calcava i palcoscenici. Se il 3 gennaio 1967 decidevi di recarti al Derby Club, ad esempio, potevi assistere alle esibizioni di Jannacci, Lauzi, Cochi e Renato, Toffolo, Andreasi. Altrimenti, avevi a disposizione – tra gli altri – l’Osteria dell’Oca in via Lentasio (in una foto, con un irriconoscibile Battiato alla chitarra), il CAB 64 di via Santa Sofia, la Muffola, il Nebbia Club di via Canonica, il Teatro Gerolamo, il Santa Tecla. Lì, avresti potuto ascoltare Gaber, Ornella Vanoni, Cerri e lo stesso Jannacci che si alternavano a deliziare i milanesi. I quali, se preferivano il teatro, vedevano la loro città rappresentata in classici ottocenteschi come Milanin Milanon (con Milly, Tino Carraro, Jannacci) ed El nost Milan, in Stramilano o in Memoria di Milano (con Maria Monti), i cui programmi ci vengono mostrati insieme a copertine di 45 giri indimenticabili come El portava i scarp del tennis o La Ballata del Cerutti.
In quegli anni, la genialità attraversava un città che da una parte celebrava (senza retorica) se stessa e dall’altra allargava i suoi orizzonti al jazz o al rock internazionale. Per merito del critico Arrigo Polillo, tutte le star del jazz dell’epoca suonarono a Milano, come testimoniano le foto di Duke Ellington, Dizzy Gillespie ed Ella Fitzgerald (al Lirico), di John Coltrane (al Teatro dell’Arte), di Billie Holiday e Thelonius Monk. Ad essi, si affiancarono i Beatles (immortalati con due scatti al Vigorelli e uno con il Duomo di sfondo), i Rolling Stones (nel 1967 al Palalido) e Jimi Hendrix (al Piper nel 1968).
Tuttavia, in questa scintillante e creativa Milano, le differenze sociali erano enormi e in molti se ne rendevano conto. Il boom aveva arricchito pochi e lasciato le briciole a quasi tutti gli altri. E così, nella penultima sala, le foto della Mostra illustrano le prime manifestazioni di operai e studenti, occupazioni di Università e sit-in che dal 1967 cominciarono a diffondersi in città. Perfino l’intoccabile “prima” della Scala di Sant’Ambrogio venne messa sotto processo nel 1968, mentre La Zanzara del Parini, nel febbraio di due anni prima, aveva punto i benpensanti, e l’anno dopo gli hippie si erano insediati in Barbonia City avvisando con un enorme cartellone che… Buona gente il Corriere della Sera vi racconta le balle.
Era l’inizio di quella rivolta che avrebbe portato all’Autunno Caldo. Anticipato da bombe che pochi rammentano, scoppiate il 25 aprile 1969 alla Fiera e il 9 agosto alla Stazione, segnali premonitori e prove generali di quella strage che chiuse un’epoca formidabile e con cui ci si congeda (tristemente) da una Mostra da mettere subito in agenda.
Mauro Raimondi