“Cara, vecchia bicicletta della mia gioventù! Essa occupa il più bel posto nell'album dei miei ricordi. È stata lei ad avermi rivelato me stesso, ad avermi offerto, in quella indimenticabile mattina di tanti fa, il primo sapore della lotta; più cara assai di tutte le meravigliose macchine di cui mi sono servito più tardi...” (Tuttosport, 16 gennaio 1950)
Fostò. Così lo chiamavano i nostri cugini d'Oltralpe, volendogli bene, implicitamente adottandolo. L'airone. Il campionissimo. Forse Eddy Mercxs è stato il più forte, ma Fausto Coppi è stato il più grande. Campione amato e osannato dalle folle, escluse forse quelle bartaliane, e il Ginettaccio difatti fu il suo più accanito rivale (uomo dal gran cuore: giusto fra le nazioni per avere contribuito a salvare innumerevoli vite di Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale). Il Fausto e il Gino... amici-nemici? Più “nemici” che amici. Ma con rispetto.
Si scrive Coppi e si legge... 5 Giri d'Italia, 2 Tour de France (con le doppiette 1949 e 1952, il primo a realizzare un'impresa che era sempre stata prima d'allora ritenuta impossibile), 3 Milano-Sanremo, la Parigi-Roubaix, 5 Giri di Lombardia, una sorta di Mondiale d'autunno, e, sempre trattando di titoli iridati, un Mondiale su strada e due Mondiali su pista nella specialità dell'inseguimento individuale. Ah dimenticavamo... pure il record dell'ora, 45,871 km, sulla pista del Vigorelli in tempo di guerra, Anno Domini 1942: “La seconda parte fu senza dubbio drammatica e mi costrinse a uno sforzo che non esito a dire disumano” (Tuttosport, 28 gennaio 1950).
Una leggenda, un'epopea su due ruote, un'esistenza non banale. Successi e trionfi, ma anche grandi drammi: la relazione extraconiugale con Giulia Occhini, La dama bianca, da cui ebbe un figlio, costituì uno scandalo sociale senza pari per l'Italietta bigotta degli anni Cinquanta; la tragedia della morte per emorragia cerebrale, conseguenza di una caduta nel corso del Giro del Piemonte edizione 1951, dell'amato fratello Serse... “Piansi per tutto quello che avevo da piangere, maledissi la bicicletta, svanirono di colpo di fronte a quel mio dolore gli effimeri trionfi della mia già lunga carriera. Avrei voluto tornare a casa, tornare da mia madre e dimenticare per sempre il mio ingrato mestiere”. Questa la testimonianza rilasciata anni dopo dall'ancora dolentissimo Fausto e raccolta dalla rivista Il Campione il 30 gennaio 1956.
Non vi è dubbio che Gabriele Moroni, giornalista, scrittore, studioso, sia un coppiano di ferro. Con una pazienza certosina ha raccolto tutti gli scritti comparsi sui più vari giornali d'epoca per pugno di Coppi stesso e ha composto il libro Non ho tradito nessuno. Autobiografia del Campionissimo attraverso i suoi scritti (Piccola Biblioteca Neri Pozza, 2019, pp. 350, euro 13,50). Coppi raccontato e spiegato da sé stesso. Un'incredibile imponente ricerca d'archivio per narrare quel predestinato: da garzone di bottega a Novi Ligure, luogo che dalla sua dimora di Castellania raggiungeva ogni giorno in bici (la genesi del campione?), fino alle vittorie che l'avrebbero consegnato alla fama.
Coppi già campione e pure costretto a partire per il fronte africano nell'assurda guerra mussoliniana (sembra incredibile, altro che ovatta...). Gli splendidi immaginifici voli sulle Alpi, i distacchi abissali inflitti ai colleghi di fatica – indimenticabile la Cuneo-Pinerolo al Giro d'Italia 1949: 194 km di fuga scalando da solo il Colle della Maddalena (m 1996), il Vars (m 2111), l'Izoard (m 2360) e il Sestriere (m 1830), il secondo in classifica generale spostato a ben 23'20” di distanza –, la storica rivalità con Gino Bartali, gli infortuni e i ritorni, le cadute e le ascensioni mitiche fra nevi e pioggia o sotto il solleone. E Cavanna, il geniale massaggiatore cieco, che aveva intuito le fibre di seta e di acciaio del campione al solo sapiente tocco delle proprie dita. E Gino Bartali, “l'avversario di ieri, di oggi e, purtroppo, di domani” (detto con una sorta di affettuosa, dolceamara, ironia), Fiorenzo Magni, terzo incomodo alias il Leone delle Fiandre, Hugo Koblet, l'elegante potente azzimato zurighese, Van Steenbergen, micidiale velocista, Ferdi Kübler, Jean Testa di vetro Robic, Louison Bobet, una galleria di eroi della corsa, una sfilata di emozioni in bianco e nero forse, ma nel contempo di un'abbagliante fulgore.
Un libro che si divora, così come il campione nelle giornate di grazia sapeva divorare la strada. Tuttosport, Oggi, Il Campione, l'Unità, Epoca, le testate spulciate da Gabriele Moroni. In questo 2019, lo ricordiamo, è caduto il centesimo anniversario della nascita di Coppi, ma per le mani e agli occhi del lettore non capita certo un instant book. E poi il 2 gennaio 2020 è il sessantesimo anno della sua inconcepibile morte per una malaria non diagnosticata. Una circostanza, quella della sua scomparsa, ammantata non di fatalità. Coppi era reduce da un viaggio, sempre nelle vesti di corridore, nell'Africa Equatoriale. Si sarebbe potuto capire...
“... ho voluto mostrare ai giovani come siano pericolose le crisi morali di cui tutti i più grandi campioni sono state vittime; e come sia necessario saperle affrontare, e come non ci si debba mai rassegnare prima di aver lottato fino in fondo”. Non poté nulla contro quella stupida inopinata morte. Ma neppure la nera signora con la falce ha potuto sottrargli la luce della gloria imperitura.
Alberto Figliolia
Fausto Coppi, Non ho tradito nessuno
Autobiografia del Campionissimo attraverso i suoi scritti
A cura di Gabriele Moroni
Piccola Biblioteca Neri Pozza, 2019, pp. 350, euro 13,50
»» “A Fausto e Gino” di Alberto Figliolia
(da Cieli di Gloria. Poesie sportive, Edizioni Il Foglio, 2017)