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Incontro e Abbraccio nella scultura del Novecento da Rodin a Mitoraj
Arturo Martini
Arturo Martini 
17 Novembre 2019
 

Si è aperta a Padova la mostra “Incontro e Abbraccio nella scultura del Novecento da Rodin a Mitoraj” nel Palazzo del Monte di Paschi, fino al 9 febbraio 2020, a cura di Alfonso Pluchinotta in collaborazione con Maria Beatrice Autizi. Una mostra dalla forte attualità sociale, e, non a caso, a promuoverla è la Fondazione Salus Pueri, onlus creata nel 1992, a Padova, per far sì che la Pediatria del locale Politecnico sia sempre più “casa”, naturalmente temporanea ma familiare, per i più piccoli.

Mostra d’arte, quindi, a sviluppo tematico – tra le poche in Italia – “Incontro e Abbraccio” esplora, attraverso una potente rassegna di bel 120 sculture del Novecento, le molteplici singolarità della condizione umana. 120 opere, spesso capolavori, di Auguste Rodin, Vincenzo Gemito, Arturo Martini, Pietro Canonica, Jacque Lipchitz, Agenore Fabbri, Virgilio Guidi, Luciano Minguzzi, Fernad Legér, Henry Moore, Marchel Duchamp, George Segal, Salvator Dalì, Lorenzo Quinn, Igor Mitoraj fino alle tendenze iconiche di fine secolo.

Tutte riunite per sottolineare le tante “attese” da cui siamo circondati. “Attese” di persone che chiedono il sostegno di una parola, il riconoscimento di uno sguardo, la condivisione di un gesto.

L’obiettivo di un percorso espositivo così concepito è quello di offrire una visione dell’Uomo, aperto e positivo, in contrapposizione a chiusure, indifferenza o disimpegno.

In ragione di questo obiettivo, la scelta delle opere e la loro collocazione in mostra non risponde ad una cronologia di realizzazione, a ragioni di assonanza stilistica o ad altri criteri che afferiscono alla storia e critica d’arte. La scelta è condotta su tutt’altro registro, persino più affascinante e certo coinvolgente: a fare da filo conduttore sono precisi temi in dialogo tra loro: il cammino della vita, la formazione, l’incontro, la relazione, la lontananza, l’attesa e la compassione.

«Tra le espressioni artistiche», scrive Maria Beatrice Autizi, «la scultura è quella che riesce a rappresentare meglio le problematiche dell’uomo, per la tridimensionalità e per la relazione dei corpi e delle forme nello spazio: quello spazio intimo della materia che racconta il corpo trasformandolo in forma e luogo di accadimenti nelle più diverse modulazioni, ora armoniche in una compostezza classica, ora enfatizzando il movimento con cui la materia racconta se stessa, ora sollecitando le superfici con tonalità impressioniste, o ripiegando su narrazioni liriche, o simboliche, o metafisiche».

L’opera d’arte scultorea si fa qui sollecitazione, introspezione, ricerca delle forme e dei gesti. L’arte plastica esalta la complessità dei volumi e richiama sul dettaglio, aspetto valorizzato dalla possibilità data ai visitatori di rigirare e toccare alcune delle opere in mostra.

Soprattutto la figura umana a più dimensioni suscita osservazioni diverse, invita a riflettere sulla vita, le sue grandezze e le sue fragilità, più di quanto potrebbero le immagini bidimensionali di uso comune. «Ci stiamo diseducando alla tridimensionalità, al tatto, alla durata che genera rappresentazione, avvertendoci così di diventare osservatori frettolosi, meno capaci di cogliere le disposizioni dell’animo e dell’affettività», sottolinea Alfonso Pluchinotta.

Nell’epoca digitale, l’Umanesimo appare sempre più lontano, scavalcato (ma non domato) dalla velocità e dalle nuove possibilità di comunicazione, che limitano l’esercizio dell’attenzione e della riflessione, il farsi della sedimentazione e della memoria, la dimensione reale e rispondente dei contatti.

Significativa, in mostra, è l’opera di Arturo Martini Figliol Prodigo, 1926 (bronzo a patina medaglia, cm 219x149x100). Martini rivisita il brano evangelico del Figliol Prodigo, imprimendovi il segno della forza immediata dei sentimenti. Due figure di eguale grandezza si incontrano lentamente, definendo il gesto in cui l’incontro culmina: l’abbraccio della riconciliazione, nel quale il figlio sembra gettarsi con tutto il peso del suo pentimento. Nella fissità dello sguardo del padre si legge il tempo dello smarrimento, che prelude al momento del riconoscimento. Nelle sue mani protese, l’una posata sulla spalla, l’altra a sorreggere il corpo del figlio, il padre porta la rivelazione dell’Amore che, trasceso il suo sgomento, si fa spazio tra luci e ombre, tra esitazione e stupore e si riversa nella piena accoglienza dell’abbraccio.

 

M.P.F.


Foto allegate

Pietro Canonica
Jacque Lipchitz
Giorgio De Chirico
Alfredo Sasso
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