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Il nido del serpente. Un eccellente libro su Cuba
25 Gennaio 2007
 

Pedro Juan Gutiérrez

Il nido del serpente Memorie del figlio del gelataio

Edizioni E/O, pagg. 220, € 16,00

 

Il nido del serpente è forse il miglior romanzo di Gutiérrez e racconta la giovinezza di Pedro Juan, il picaresco protagonista della Trilogia sporca dell’Avana, Il Dio dell’Avana e Animal tropical. La storia è ambientata nella Cuba post rivoluzionaria degli anni Sessanta e l’autore confonde le carte raccontando una finta autobiografia che presenta molti collegamenti con la sua vera vita.

Pedro Juan è figlio di un gelataio ma non può esercitare la professione di famiglia perché i gelati sono diventati ormai introvabili. È un ragazzino timido che a un certo punto decide di buttarsi e vivere la vita per non essere un perdente, ma la sua prima donna è una puttana che lo abbandona per scappare a Miami. «Qui siamo nella merda, Pedrito. Ci sarà sempre più miseria e le cose si metteranno sempre peggio…», dice mentre lo saluta. Pedro Juan non si scoraggia, tira la cinghia, pesca gamberi da rivendere ai ristoranti, si ciba di galline rubate e di gatti catturati per strada. Racconta le sue avventure e al tempo stesso denuncia le cose che non vanno. Nella Cuba del 1965 è vietato possedere bussole perché faciliterebbero una fuga verso Miami. Non solo. È proibito parlare inglese, ascoltare i Beatles, portare i capelli lunghi, i pantaloni attillati e persino essere omosessuali. Tutto questo rappresenta una deviazione ideologica. A questo proposito Gutiérrez accenna più volte alle UMAP e al vergognoso ruolo come campi di rieducazione e lavoro per antisociali. Il sesso è l’unica salvezza e la sola cosa importante per sentirsi vivi in una società che nega ogni autonomia all’individuo. Pedro Juan si rifugia in amori disperati e violenti che si consumano nel breve volgere di pochi giorni e bruciano energie vitali. Nella sua terra tutto è proibito, persino leggere Hermann Hesse, Nietzsche e De Sade. I libri vietati dal regime sono un elenco interminabile e per un aspirante scrittore come Pedro Juan il problema è grave.

Per questo motivo le sue idee restano nell’ombra, non escono fuori dal nido del serpente dove lui le nasconde. Sono idee pericolose che non si possono esprimere ad alta voce. Pedro Juan diventa un asociale che ama il silenzio, la lettura, la solitudine e non comprende un mondo «dove ci sono nemici persino nella zuppa». Gutiérrez racconta il servizio militare del suo personaggio, spedito per tre anni a tagliare canna, raccogliere patate e piantare banane nei campi dove prima c’erano alberi di mango. Nel frattempo spiega che a Cuba non esiste più la cronaca nera, perché ormai la stampa è nelle mani dello Stato. Pedro Juan conosce donne di ogni tipo, fa all’amore senza freni, subisce la corte di uomini che tiene a debita distanza, si innamora ma non vuole legami. «La vita è un romanzo e voglio scriverlo io. Non voglio che nessuno mi dica cosa devo scrivere in quelle pagine», afferma. Non è facile farlo a Cuba e Pedro Juan sogna di viaggiare e di scappare lontano, magari in una terra lontana dove fa freddo e nevica. Per lui «la lotta quotidiana non è per la sopravvivenza ma per la libertà». Pedro Juan vuole vivere in un posto dove non si senta umiliato perché «un governo di selvaggi genera soltanto selvaggi nel popolo». E rincara la dose perché «questa è un’isoletta di merda e noi cubani dovremmo viaggiare». Gutierrez ricorre a un personaggio omosessuale per affermare: «Tutto in questo paese va verso la volgarità. Chiunque abbia idee personali sarà condannato. Prima o poi sarà condannato. È un caos kafkiano, un labirinto senza uscita. Il disprezzo totale». Pedro Juan vive intensamente la sua giovinezza e come tutti i giovani pensa di essere immortale. Non sa cosa vuole dalla vita ma sa che vuole viverla fino in fondo. Il sesso è la sola via di scampo, l’unica valvola di sicurezza per fuggire alla follia. Magari insieme alla bottiglia di rum e un buon sigaro. E in definitiva quel che conta è «continuare a camminare e attraversare la furia e l’orrore».

Il romanzo è scritto davvero bene e il lettore lo divora con rapidità. L’autore riesce a tirar fuori tutta la sua rabbia con naturalezza, in modo da non farla sembrare letteratura. «Lo scrittore perfetto è un fantasma invisibile», dice Gutiérrez, colui che convince il lettore che un libro è stato scritto senza nessuno sforzo. Il nido del serpente è un romanzo di formazione coraggioso e potente, esistenziale, disperato, crudo e romantico. Nella scrittura di Gutiérrez si ravvisano echi bukowskiani, tanta beat generation e una spruzzatina di John Fante, ma le parti erotiche ricordano il miglior Moravia. Il messaggio del libro va ben oltre l’impalcatura erotico-esistenziale che l’autore costruisce molto bene attorno ai suoi personaggi. La verità è nascosta in profondità, nel nido del serpente, ma non è difficile tirarla fuori, perché il romanzo rappresenta un grande grido di libertà per Cuba. Il nido del serpente - come la maggior parte dei romanzi di Gutiérrez - è considerato una lettura proibita nella sua terra. Le dittature hanno sempre avuto paura delle parole e della libertà di espressione del pensiero. Cuba non fa eccezione, purtroppo.

 

Gordiano Lupi


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