Il tema del ricordo si impone al lettore fin dalle prime pagine della raccolta di Marina Marchesiello, La resurrezione necessaria, del resto annunciato anche nell’esergo proustiano, “l’immenso edificio del ricordo”.
Qui si tratta di un “cordone del ricordo che mi penzola sopra il capo”, e se la notte si trascorre a “infilare la collana dei ricordi”, è più leggero il giorno dopo la dovuta espiazione, del resto c’è sempre “qualcosa o qualcuno da ricordare”. Il passato ha “avuto buona ora” e ne rimane l’orgoglio “io marcio fiera indietro”. Si prende consapevolezza che “il passato è più bello/ e l’oggi senza speranza/ il domani troppo vicino/ e tu troppo lontano”, quasi in un desiderio che la corsa del tempo rallenti, con la paura di precipitare in un domani che si accorcia davanti ai nostri passi. C’è nostalgia, “la dolce pena di non andare avanti/ ma solo stare, ma solo tornare”.
È un linguaggio carico di immagini forti, flash incastonati nei versi, con costanti riferimenti alla corporeità, alla concretezza fisica -occhi, spalle, cuore, gambe, labbra, guance- prima che il pensiero poetico prenda il largo e si faccia riflessione. La scelta lessicale predilige “pietre, ossa, scheletri, freddo inverno, lupo, spasmo, ferita, freddo, fango, crepa, filo di bava, mani screpolate…” e corrisponde alla percezione di un mondo “avariato”, che è un “raccapriccio”. Questa fisicità è un rimando costante alla vita, che si percepisce anche da “i venti che soffiano dentro” e allora “d’illusione, nutrita, risalgo”.
Non più solamente figlia, diventa “madre di sé”, che trova conforto e pienezza nel percepire di notte il respiro dei bambini e il tocco di una piccola mano sul viso: “sono tornata a nascere e amare/ solo per i figli del sentimento”. Belle e crepitanti sono le risate dei bimbi di ritorno da scuola, nel gioco che è intrecciato coi loro sogni. La figura della madre comunque rimane il simbolo della continuità, della conservazione del passato e della protezione: “conservami le parole/ contienimi la paura”.
È una poesia dove il tu ritorna quasi invocato “ma tu non darmi il tormento/ di ritornare troppo tardi/ quando anche l’acqua si ritira”; “dammi una mano tra i rami/ è la tenda dove solo io/ mi appendo, proteggo e nascondo”.
Il tempo che ruba la vita, “l’ora che pesa su tutti noi” è un pensiero da elaborare, ma è necessario farci l’abitudine, perché “questo fatto della vita è troppo greve”. Del resto il rapporto con la vita e la sua fine fa parte di un percorso esistenziale personale che ci ritrova soli. All’uomo non è concessa l’eternità su questa terra: “faccio finta di comprendere/perché non è concesso/a noi l’eterno”. Altro eterno si apre ai credenti.
La poesia rimane strumento di salvezza, sempre: “ho imparato da sola ad amare la rima/ che più presto ci avvicina/ a quella nostra primissima idea di cielo”. Nella poesia si perfeziona quell’idea di purezza e di bellezza per cui vale la pena sopravvivere.
Marisa Cecchetti
Marina Marchesiello, La resurrezione necessaria
Controluna, 2019, pp. 88, € 10,90