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Paolo Fichera: Innesti. Note di Luigi Metropoli
Paolo Fichera
Paolo Fichera 
25 Gennaio 2007
 

Gli attrezzi del mestiere: note su Innesti di Paolo Fichera

 

Il poeta è un geologo, ma anche un agronomo. È un contadino con i suoi strumenti del mestiere. Vive tra le piante, con la schiena rivolta al sole e gli occhi sulla terra, a rinvangarla, a seminarla, a contarne le zolle. Il poeta non ha occhi che per la terra. Oggi. I suoi occhi, le sue mani si addentrano fin nel fango, l’humus fertile dei suoi figli – le piante, le erbe.

Il poeta è lo speziale retrocesso dall’alchimia alla materia prima della sua lavorazione. La scova da sé, la lavora con l’acribia dell’artigiano, del contadino, del cercatore di metalli. Si sporca le mani e s’infetta il cuore.

Il poeta innesta la sua opera dentro un’altra opera, un’altra creazione, «da un’unica radice», come ben ha evidenziato Marotta nel commento alla silloge Innesti di Paolo Fichera.

Fichera lavora davvero su «un corpo morente che migra in altre forme» (cito sempre Marotta). Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume. La poesia è farsi, è crescere nella terra, con la terra, mutandola e mutandosi.

Il corpo morente è la poesia, il corpo del contadino, la terra, il frutto, che cede vita al ramo innervato dopo l’innesto, al segno sovraimpresso all’opera prima, sopra le sue piaghe. Perché la poesia non basta, il corpo non basta, la terra non basta, il contadino non basta, il tempo non basta.

Il verso è un innesto su altri versi, è un lavoro che non viene da dio, ma dalla terra, dall’uomo con la sua fatica, dal suo errore. È il presente che si innesta nel passato e ne annulla le distanze, ne altera le dimensioni, ne riscrive la percezione. È la vita che si innesta sulla forma.

 

Prosegue l’enumerazione, tipica anche de Lo speziale (edizioni LietoColle) ma sempre per percorsi asimmetrici, frammentari, per esperimenti di mutazione, alla ricerca di una “costanza flessa” un ossimoro permanente: ciò che è e nel contempo diviene. Un percorso che prevede lo scacco, lo contempla fin da subito, fin dalla finitudine di una struttura che si pretende di mutare col vento.

Il tentativo di forzare i confini del nostro mondo (ma anche i confini del nostro linguaggio, restando, però, distanti da Wittgenstein) si risolve nel tic della flessione del verso con epifore che arrancano nelle forme vuote della lingua (preposizioni articolate, congiunzioni…).

È lì che si articola l’innesto: la frazione che si ingessa nella struttura (l’ossessione della raccolta) e flette al successivo verso, tesse, distorcendone la sintassi e il senso, generando nuove nascite (“ogni quadro è un germoglio”) che rischiano l’aborto.

È la poesia che cede a se stessa, che bisogna ammazzare per far rivivere. La serpe che cambia pelle.

Si assiste ad un’esplorazione delle viscere della terra, fino ad estrarne i minerali («ecco la miniera dei metalli»), la sostanza costitutiva, le forme che la compongono e ne tracciano i limiti spaziali, temporali, di interpretazione («la struttura è finitudine», «qui la struttura è mondo», «chiusa struttura», «Lucra la tua / ora sintassi è fine perché data / metavita, non poesia», quindi il creato è il limite di se stesso, la propria consapevolezza, il proprio oltraggio).

Il metallo è estratto per essere lavorato, per assumere nuove vesti. La dedizione del contadino vi insuffla la vita. L’unica possibile. Non di più.

C’è una sofferenza che si è aggrumata, che si contorce in una sintassi altra da ciò che è dato, fuori da una struttura imposta (la velleità di fuoriuscire dal limite: «la struttura s’infeconda», ma cedendo successivamente allo scacco: «ho ereditato ciò che dai»).

Innesti è una riflessione sulla prigionia dell’umano dentro sequenze precostituite. È un’indagine in versi sulla finitudine dell’uomo e della poesia stessa. Innesti è i Prigioni di Michelangelo, transustanziati in poesia. Non c’è altra materia da togliere. L’impasto è dato e con esso una forma che si vuole flusso. Una forma incrinata a colpi si scalpello, ormai morente ma immanente alla vita che pretende di liberarsene.

Il lessico stride, al pari della sintassi, tutto stride come un grido che esala da un ingranaggio che va avanti da sé, da qualche componente meccanica che distorce l’interpretazione del reale, il nostro risiedere in esso.

L’uomo è un accidente, il creare è un accidente. Non c’è nessuna melodia e possibilità di canto, il ritmo è una conseguenza di spasmi cronici:

 

la rosa brunita e scrivi: la disperazione

è luogo. Il canale è luogo, la bellezza è

disperazione, l’io è luogo, capelli ramati e

innesti sangue in struttura…

 

Luigi Metropoli

 

 

Innesti di Paolo Fichera

(di prossima pubblicazione per “I Quaderni di Cantarena”)

 

 

 

 

&
la terra pulita, conchiglia di rame
mare, giovane dolore che
Dio nel mio abbraccio, musica
ogni quadro un germoglio, tu sei la
ecco la stanza del fuoco, ogni arpa
i bambini rincorrono una palla,
la ruota che ricompone le membra, le fa
ora un quadro, altro
un fuoco mite
 
 
&
la luna, le ansie, la sposa di
nessuno dualità fiera, cibata
in frammenti; briciole, gettate in ogni direzione
la carta è vita, l’unica soave
dolce richiamo: inferno ramato oltre
sai, vuoi il
lingua della fede parole di santi
con contorni di uomo, vendetta del
ricordo, il bimbo prega e cane che
dolce richiamo, la carta è vita,
unica, soave
 
 
&
le parole vergini hanno lo stesso vento
le sentenze come sai il rubino
il passo, l’anello che si fa
debole ancora il bimbo
senza civiltà, né fuoco, né mattone
terra diverrà acqua, ogni pesce sarà
il bimbo respirava nell’attesa
la lingua morde e feconda, cerchio di
lo spazio, mattone, contorta su se
carta e pelle, la vita bella
 
 
&
Il cerchio non è Tutto, la questua
un dondolare di frammenti, chiusa
struttura, serena specie, dicono razza se
divario si affossa e rumina la specie ancora
il rimar lento particelle non dare al
il corpo un lento mente una farsa se
dai al corpo uova e sperma ampia la
giardino di grembi, sommerse rovine
le vergini indorate di sperma
la resa
 
 
&
una corona di vagiti            illudono
il cielo annaspa lo spazio
abitudine è anima, corso
immacolato solo il calcolo rugginoso
un ritorno d’inferno e divino
la bandiera ferma, l’asta che
scendere d’un gradino
ecco la miniera dei metalli, la sposa
che nella cinta diviene gemella
vagito carsico, armonico disagio
 
 
 
&
il, seme: un calco, il
viscere, la parola segno
sia funzione, piedi che muoiono
assaggio, annaspo, civiltà che
si crea l’abbraccio, vieni la
funzione delle radici, trapassi
il lembo esco ora ogni direzione sa
altro il passo reciso corale d’ombre e
frammenti piante che cresce pianta d’
tacere d’inferno, nomi cristiani, tre tomi
che incuti ora timore, le mani, mercanteggiare
da ogni istante a ogni possibilità
 
 
 
&
teatro limaccioso, vita, i sogni
getti di sperma, indecente coroni
gerundio a scapola. ogni sasso si
vai al passo, recidi, la mia vena la
tua vena incute timore ogni ricordo
alito non respiro. Il luogo della
poesia in infanzia già dato ogni passo
ogni passo; cultura massacrata non
barbari ma fuori dalle corti il perdono
violava il tuo sai la resa imbellettata
in soglia brucio sono padrone
 

&

la struttura è finitudine

vento specie di un luogo:

sai maestrale, libeccio, garbino;

barbaro e povero l’innesto

un flusso adagio, un frammento del

adagio e poi il mondo è barbaro

pure una costanza flessa

tracce molli il coraggio nel

innesto

 

 

&

la rosa brunita e scrivi: la disperazione

è luogo. il canale è luogo, la bellezza è

disperazione, l’io è luogo, capelli ramati e

innesti sangue in struttura, s’infeconda la

biografiaauto, di versi, l’opposto seme dove

adagia i muscoli; il bimbo mangia un gelato

o scismi fioriti, foglie fatte marmo nel

sai che tu andrai in ora scendo nell’ora

mia tua sorella, luogo, riparo, grotta

tutto comprendi è cavità per l’eco

 

 

&

assoluto vigore

nel seno, in seno

gonfia opaco il ricordo:

la lingua tradotta, la tua

prigione che scava biologia e

spezie sai il trapasso l’uomo

dormiva la sera il lento andare dove

manto ricopre spalle, un paese

morto la

morto uomini stesi, la dolcezza

è nel pane ricoperto di semi

infiniti cani osso e polpa che

un cervo ampio fecondava il bosco

di sperma, polline ricopriva manto e

il paese bagnato dall’acqua non moriva:

è questa la pena che s’arrende a moriva

 

 

&

la sintassi è data: sentenza

profetizza ogni fine, mantello

del rancore diviso in vesti di gioia

poi morte; ogni organo si fa sintassi

a il passo degli uomini, voce per

comandi farsi ordini. Lucra la tua

ora sintassi è fine perché data

metavita, non poesia.

 

 

&

la struttura s’infeconda, si fa

battesimo, non cristiano; un vessillo

per la morte nel banale il vento:

i barbari sono orde orbe, nostre

pupille vostre i pianti arrampicanti

oltre la dura legge di mangia un

piatto di verità: la morte è argilla

che scolpisce lo scultore, la madre

l’unico tremore, colore che punisce il

madre colorata, armonioso seme

il battesimo si mentre un adagio si

flebile il fiato s’infila qui nell’ora

pregherò il sale

 

 

&

vergami il dolore smunto della sposa

la civiltà ai piedi donava arche

cherubini scoscesi impalavano ancora smonti

la traccia da te che mi amavi s’abbevera

il nido, piumaggio oro e smalto, tuo

vanto nell’uomo morto la notte s’attende

nebbia che precipita chi ombra devasta

la pioggia dal basso un rantolo, l’agonia

privilegio di specie celebra la pioggia

sua devastazione

 

 

&

denti e rosario, l’incenso dei

santi, porta la pace all’osceno, a lo

schermo che preghiere ritte, candele di

carne, lo spirito santo, la città

si muore: altari bagnati, urina santa,

ogni peccato al rossetto una barba inci

de ora l’ocra il selvaggio maglio membro

pace sconfitta, la sbarra separa l’ombra

dal cielo, luce è dolore, strazio Dio

un risorto miraggio

 

 

&

ho ereditato ciò che dai

l’ho nominato in nome pasto

poi posato intatto alla fiera,

smembra il germoglio miseria scossa

invocato perdono fate del cielo

strazio uragano in la fonte sia

oltraggio ora incido sempre ora chiedi

a il luogo del sacro è dato

il bianco s’incestua nel rosso, oro



Biografia

Paolo Fichera: sono nato nel 1972 e vivo a Sesto San Giovanni (MI). Dal 2003 dirigo, insieme a Mauro Daltin, la rivista cartacea PaginaZero - Letterature di frontiera (www.rivistapaginazero.net). Sono stato incluso in diverse antologie collettive, tra cui Il presente delle poesia italiana, a cura di Carlo Dentali e Stefano Salvi. Nel 2005 ho pubblicato presso la casa editrice LietoColle la raccolta poetica Lo speziale. Mie poesie sono apparse su numerose riviste, tra cui: Poesia, il Domenicale, Atelier e su siti e riviste on-line, tra cui: Nabanassar, FuoriCasa Poesia, LiberInversi, l’Ulisse n. 1 e n. 4, l'Attenzione, El Ghibli. Faccio parte della redazione del sito Poesia e Spirito. Mie poesie sono state tradotte in inglese, francese, spagnolo, arabo e serbo-croato. Gestisco un blog personale http://cattedrale.wordpress.com

 


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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