La copertina di questo Calendario 2020 propone la fotografia di un diario socchiuso. Sì, abbiamo scelto questa immagine strana di un quaderno dove si intravedono parole per presentare il tema del calendario: ERRANTI. Perché? La scrittura apre mondi, paesaggi, storie, universi: la narrazione è, in questo senso, esplorazione e scoperta e lo scrittore un errante tra mondi e vicende. Nella scrittura è insita anche la ricerca di parole, di concetti, di modalità di espressione, di finali di storie non sempre certi e chiari all'inizio neppure allo scrittore. In un testo scritto vi è poi la possibilità di fare macchie, cancellature, sbagli, cioè di commettere errori: un’altra visione della parola erranti.
Errare humanum est: scontato, banale, forse, come concetto, ma quanta verità esso contiene. Chi non sbaglia, chi non commette errori – e tralasciamo qui le idee di “colpa” e “peccato”... – nel corso del proprio viaggio, vale a dire il proprio “errare”, nel mondo e nei giorni? Nella sua ambivalenza “errare” è un verbo magnifico per l'uso che poeticamente se ne può fare (ciò vale anche per la parola “rotta”, che gli è simbolicamente così vicina nella sua terribile stupefacente splendida ambiguità); e così si può dire del suo participio presente sostantivato/aggettivato: “erranti”. Erranti come coloro che sbagliano, e ne possono pagare il fio sia dal punto di vista esistenziale che sociale (anche con l'allontanamento e la separazione dalla cosiddetta società civile: vedi le presenze nelle carceri), ed erranti come coloro che si muovono senza apparente meta, in cerca di un luogo, di una nuova patria, di una vita diversa e dignitosa, quelli che chiamiamo migranti, che attraversano mari, nelle cui profondità giacciono innumerevoli corpi mangiati dai pesci, o deserti, sulle cui sabbie e pietre posano infiniti scheletri, bianche ossa sull'abbacinante distesa che si perde all'indeterminato orizzonte. Erranti, tutti in fondo siamo erranti – nello spaziotempo – e ce ne dimentichiamo, preda di una sorta di amnesia, se non, talora, di narcisistico turbine.
[…] viandanti secondo natura,/ mai fermi, mai soddisfatti,/ alla perenne ricerca di un porto/ in cui – per l’ultima volta –/ annodare all’ormeggio/ la chiglia ferita da mille tempeste./ Pellegrini, braccati, nomadici erranti,/ con mille e nessun documento,/ migranti dentro noi stessi,/ clandestini – comunque –,/ al di fuori di ogni programma,/ sospesi al giudizio corrente,/ molluschi avvitati in ritorta conchiglia,/ ma, senza volerlo, indifesi/ a ogni spiffero d’aria. Emblematici, paradigmatici, appaiono questi versi di Giovanni Zilioli – come quelli più sotto citati – che ben definiscono la nostra condizione umana. A me piace chiamarla “Mistero”,/ la penombra in cui stiamo,/ perché nulla si sa, con certezza,/ circa l’origine e il punto d’arrivo,/ e nemmeno a riguardo il percorso/ è possibile dare una traccia sicura/ – se per via di terra o di mare,/ se in caduta da abissi celesti/ o eruttati da primordiali esplosioni… […] In questo minimo spazio;/ in questo infinitesimo tempo,/ noi siamo e non-siamo,/ accordati – per quanto diversi –,/ a un uguale destino di viaggio.
L'augurio che rivolgiamo ai lettori è di cogliere la bellezza che spira dai versi del presente Calendario – una piccola grande opera d'arte fra fotografie e componimenti poetici che la costituiscono – come un vento di libertà, una minima ma splendida ipotesi e apoteosi di solidarietà, un itinerario comune, perché non vi è dentro né fuori, perché noi non siamo solo noi, noi siamo anche loro e loro sono noi, tutti “erranti”, tutti protagonisti, seppur transeunti, sulla faccia di questo pianeta, anch'esso errante nell’eterno silenzio del cosmo,/ da dove – forse – veniamo,/ nel quale – senz’altro – cadremo,/ come la goccia che precipita/ a terra, fra i sassi, e scompare.
Camminiamo insieme vien da dire, fin dove l’occhio vede orizzonte,/ e poi oltre, più avanti,/ nel vuoto, di là dalla notte, laddove si generano i sogni che generarono l'umanità, i sogni che nutrono ogni essere umano, i sogni cui ogni uomo ha diritto.
Silvana Ceruti e Alberto Figliolia
Errare humanum est, e così ci siamo messi a posto col latino. Ma errare in che senso? Errare è scrivere squola o cuarto. Errore. Sbagliato. Chi sbaglia paga. Ma non sempre, anzi spesso chi sbaglia non paga. Chi sbaglia deve marcire in galera, ha detto un ministro. Ma chi sbaglia può anche marciare a petto in fuori, questo lo dico io. C’è una gran confusione sotto il cielo. Ma, attenzione, quel verbo con due significati ne perde uno al participio presente. Erranti non sono quelli che sbagliano, così come non esiste sbaglianti, ma solo sbagliati. E allora erranti sono esclusivamente quelli che vanno da qui a là, da un paese all’altro, da una sponda del mare all’altra. Erranti sono quelli cui manca la libertà, ma sognano come fossero liberi. Erranti sono tutti quelli che cercano di prendere le distanze dalla guerra, dalla miseria, dalla paura, dalla schiavitù, da un odio o da un amore. Sono quelli obbligati a cercare altre strade, altri percorsi, altre rotte, altre terre. Erranti sono i cercatori di vita più vivibili, i disarmati soldati della speranza. Erranti a piedi, sui barconi, sotto i camion. Li hanno chiamati migranti, invasori, clandestini. Un poeta li chiamerebbe fratelli.
Gianni Mura